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GALLEON |
Engines of creation |
Progress Records |
2007 |
SVE |
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Con il precedente, ambizioso “From land to ocean”, pubblicato ormai quattro anni orsono, gli svedesi Galleon parevano aver finalmente raggiunto lo zenith della loro carriera, puntando su un ambizioso concept dispiegato su doppio CD e contenente addirittura una suite dalla durata… “eroica”. Un bel traguardo per la band di Göran Fors, che per anni ha fatto di un onesto new-prog la propria bandiera, ma che comunque già meritava un plauso per l’ostinazione e soprattutto la cura con cui questa tendenza veniva perpetrata di disco in disco.
Come accade in questi casi, ecco quindi che i quattro (il batterista originale Dan Fors è stato sostituito da Göran Johnsson, che nei Cross suona… le tastiere!) si saranno trovati di fronte ad un bivio: perseverare sulla nuova direzione “epica”, contraddistinta anche da sonorità maggiormente vintage o tornare alla semplicità dei primi lavori (ricordiamo che l’esordio “Lynx” risale addirittura al 1993). Dopo una crisi di ispirazione, la strada intrapresa è stata probabilmente un compromesso tra le due: musicalmente qualcosa che può accontentare chi esige strutture più complesse ma sempre filtrato da influenze neoprogressive (gli Arena più recenti), energetici sprazzi di sapore Rush ed un pizzico di AOR: il tutto porta ad un risultato sensibilmente più heavy che in passato; liricamente, i brani sono accomunati dal tema (non originalissimo) degli effetti deleteri dell’abuso/uso criminale della tecnologia sul nostro povero mondo.
Un buon esempio di questa direzione è rappresentato dall’apertura “The assemblers”, che si dipana in modo efficace tra una chitarra tagliente, gli interventi delle tastiere di Ulf Pettersson e la voce di Fors, piacevole ma non certo memorabile, alla lunga monocorde. Altro esempio principe del Galleon-sound è la title track, con la sua alternanza tra quiete strofe - sottolineate da organo e Mellotron - e riff aggressivi elargiti dalla chitarra di Sven Larsson che spesso e volentieri si erge a solista con buoni risultati.
Sarei ingeneroso se affermassi che queste descrizioni sono valide e applicabili anche a tutto il resto del disco, ma per quanto apprezzabile, questa formula viene in effetti ripetuta ad libitum senza grosse variazioni, finendo per appiattire un’opera che avrebbe giovato da una maggior varietà nel songwriting: ad esempio, l’interludio chitarra acustica/synth di “State insane” o il breve strumentale hackettiano “The cinnamon hideway” sono oasi felici che spezzano un tessuto sonoro troppo spesso pomposo. Il risvolto positivo è l’assenza di vere cadute di stile e nonostante alla fine si fallisca nel distinguere un brano dal successivo l’ascolto resta piacevole fino al termine, grazie anche alla durata contenuta dell’album (44 minuti).
A giudicare dal minutaggio superiore alla media, direi che la band abbia scelto come “piatti forti” l’articolata “Men and monsters”, valorizzata da un insolito andamento tortuoso e da interessanti linee vocali (impossibile a tratti allontanare lo spettro degli Echolyn) e la conclusiva “Lightworks”, mutevole ed onirica, entrambe situate nella coda dell’album, in cui il suono si fa più corposo, organico ed i ritmi più incalzanti.
Non credo sia corretto in fondo attendersi qualcosa di più e di diverso dai Galleon, mi sento di affermare che quest’album rappresenti in effetti la coronazione delle ambizioni artistiche di Fors e soci; a volte non occorre gridare al miracolo per consigliare un album: pur con le limitazioni citate, che ne fanno un disco assolutamente non essenziale, “Engines of creation” può comunque costituire una valida scelta e per una volta estendo la strizzatina d’occhio anche ai patiti del prog-metal.
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Mauro Ranchicchio
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