Home
 
GALAPAGOS Deserto avantgarde Viajero Inmovil 2009 ARG

Negli ultimi anni era la svedese Transubstans a regalarci dischi che prendevano più di uno spunto dalla scena Hard Psych anni ‘70. Oggi, grazie all’etichetta Viajero Immovil che ha prodotto il cd del quale parleremo, ci rendiamo conto che anche in Sudamerica queste sonorità non sono mai realmente passate di moda.
Gli argentini Galapagos, con questo “Deserto Avantgarde”, mettono il loro terzo sigillo nel mondo musicale, proponendo un disco che scorre via piacevolmente tra atmosfere che, pur trasudando passato da ogni poro, producono un fascino che dura nel tempo e che risulta lo stesso ancora attuale. La peculiarità di questo lavoro, rispetto ad altri che si cimentano in queste riproposizioni, la possiamo trovare nei riferimenti sonori che s’incontrano nelle nove tracce. Troviamo logicamente molto dei Black Sabbath, molto dei Deep Purple, molto dei primi Pink Floyd, molte atmosfere zeppeliniane ma anche molto dei Pescado Rabioso, degli Invisible, dei Pappo’s Blues. Troviamo molto della grande storia del rock argentino insomma, aspetto che rende tutto questo “Deserto avantgarde” un lavoro che risalta rispetto alla media standardizzata alla quale l’ultimo periodo ci ha spesso abituati.
Gli argentini mettono subito le cose in chiaro con un brano potentissimo come “Antenas y Charcos” che, anche se nel riff ricorda non poco “Gipsy” degli Uriah Heep, ha nel suo retrogusto blues rock il suo punto di forza. Il gruppo riesce a sfruttare al meglio anche l’ingresso in pianta stabile di un tastierista che, con Hammond e Fender Rhodes, ricama e rende più limpide le trame sonore che un power trio non sarebbe riuscito a mettere bene in evidenza (penso più che altro a brani come “Y los dias por llegar” o “Practicando tiro al lego”).
Anche gli aspetti meno cupi e più commerciali (che potremmo paragonare alle cose più “sperimentali” proposte dai nostri “Le Vibrazioni”), in brani come “En linea recta” e “Qué Se Puede Hacer”, ci mostrano un gruppo fresco e comunque capace di non esser legato in tutto e per tutto a determinati schemi sonori; un gruppo dotato di una buona conoscenza musicale che gli permette di muoversi bene in diversi territori.
Il brano che in ogni modo racconta meglio di un libro tutto quello che vorrebbero essere oggi i Galapagos è sicuramente la title track, dove tutte le influenze descritte fino a questo momento vanno a mescolarsi, creando quattro minuti che, anche se potevano essere benissimo prodotti da qualche grande band 35 o 40 anni fa (e i riferimenti ad "Astronomy Domine" sono anche troppo scontati), trovano in un gruppo nato nel nuovo millennio la giusta collocazione spazio-temporale.
Un disco che non annoia (e che non riuscirebbe ad annoiare visto che dura 35 minuti scarsi), da ascoltare tutto di un fiato per cominciare bene la giornata e da prendere comunque per quello che è, ossia un disco che non inventa niente ma che a suo modo riesce a risultare personale e originale.


Bookmark and Share

 

Antonio Piacentini

Italian
English