|
I Goad continuano ad essere un fenomeno un po’ a sé stante nel panorama del progressive italiano: nonostante siano attivi già dagli anni ’70 e nonostante abbiano ottenuto critiche molto positive con diversi lavori usciti di recente, restano una band che potremmo definire “di culto”. Eppure la creatura di Maurilio Rossi sforna dischi di ottimo livello, mostrando una creatività che sembra incessante. L’ultimo parto discografico del gruppo è “Masquerade”, pubblicato per la Black Widow, che non fa che confermare quanto di buono fatto con i precedenti album. I Goad, infatti, continuano a proporre quel sound sinfonico, ma oscuro e “sporco”, ideale colonna sonora per gli incubi di Lovecraft o per il romanticismo a tinte dark di Poe (non a caso ci sono due brani con testi di quest’ultimo e in passato entrambi gli scrittori sono stati omaggiati con degli album che avevano il loro nome ben visibile in copertina e le cui tematiche erano basate sui loro scritti). Le allucinazioni sonore proposte sembrano provenire da minacciose distanze, mettendo un briciolo di apprensione, ma senza mai arrivare a estremismi che potrebbero rendere la musica fin troppo pesante. La chitarra elettrica graffiante, già dai primi secondi, crea trame non banali e ancora una volta intervengono strumenti di ogni tipo, tra tastiere gotiche, fiati vandergraafiani e archi classicheggianti, ad accompagnarla in questo nuovo viaggio musicale. Lo stile della band è sempre immediatamente riconoscibile e ad ogni modo tutti i brani presenti nel cd contribuiscono a rendere ben evidente questa caratteristica, mostrandosi omogenei ed evidenziando le solite influenze, che vanno dai Van der Graaf Generator ai Black Widow, dai Pink Floyd agli High Tide, dai Goblin alla PFM, ecc. La voce di Rossi fa il resto, tra melodie sfuggenti e avanzando strascicata e indolente, a volte quasi come se declamasse sinistre cantilene. Il progressive, così, si ritrova a flirtare con una psichedelia e raggiunge il suo apice nella conclusiva suite di tredici minuti che dà il titolo all’album, suddivisa in cinque parti, che comincia con ritmi compassati, chitarre distorte e tastiere liturgiche e che prosegue con numerose variazioni, anche se le atmosfere mantengono le tinte fosche, mostrando alcuni momenti strumentali brillanti e decisamente ben costruiti (splendida, in particolare, la seconda parte “Incubus”, un rock sinfonico oscuro dove tastiere e chitarra si alternano alla guida). Non è un caso che i Goad siano finiti sul libro “Horror rock”, dove essi stessi spiegano perché la loro musica e questo album in particolare devono tanto a Edgar Allan Poe: “Quello che ci affascina maggiormente delle opere di Poe è la musicalità delle liriche, talmente evidente da sentirne le note volteggiare attorno.“
|