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GRIOT |
Gerald |
autoprod. |
2016 |
POR |
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Questo delizioso dischetto segna l’esordio del duo portoghese (di Leiria) formato da João Pascoal (basso, chitarre e tastiere) e Sérgio Ferreira (batteria), cui si è aggregato il vocalist Nuno Aluleia e un numeroso lotto di musicisti aggiuntivi che apportano l’utilizzo di archi, fiati, synth e altre chitarre. Si tratta di un album breve, poco più di 30 minuti, e strutturato sotto la forma di concept, con la narrazione della storia introspettiva del protagonista (sulla quale sorvolo) e le 5 canzoni che si articolano su altrettanti capitoli. I brani sono prevalentemente strumentali, anche se il cantato di Nuno è gradevole, ora caldo e ammiccante, altre volte su tonalità più drammatiche e fragili. Ampio spazio viene dato però agli impasti strumentali e alla narrazione musicale. L’album oscilla ed alterna continuamente momenti di Prog sinfonico gradevole e ben realizzato con contaminazioni jazzate, momenti più leggeri e quasi pop e qualche sonorità indie. L’album è abbastanza omogeneo e tra un pezzo e l’altro non si notano particolari cambi di stile; la prima traccia (“The Drive”) inizia su atmosfere jazzy, con bei suoni di piano e tastiere che, sul finire, danno spazio alla chitarra prima e a poche linee di cantato poi. Nello strumentale “Through the Haze” si cominciano a sentire fiati ed archi, dopo un avvio affidato a cupe note di basso; il pezzo è molto rilassato e notturno e l’assolo di sax sembra foriero di ammiccanti complicità. Su “Into the Fold” si incomincia a fare sul serio: le atmosfere più tipicamente Prog e le tonalità drammatiche, unite al cantato che finalmente si fa sentire a dovere, rendono questo brano davvero interessante da ascoltare. Non lasciatevi fuorviare dallo strano assolo di clarinetto che pare svoltare su tonalità giocose: la canzone procede in crescendo, sempre contaminata da umori jazz e forse è la migliore dell’album. “The Curtain Falls” è un altro bel pezzo che va in crescendo, con umori drammatici, il cantato che sale di tono e belle parti di flauto e di tastiere. Siamo giunti già alla fine? L’ultima traccia (“Fadeaway”) però dura 10 minuti ed inizia con un avvio affidato a violini e violoncello che lasciano poi spazio a parti più ritmate ed orchestrate, con melodie accattivanti che si avvicendano a momenti più spigolosi, l’inserimento a turno di brevi assoli di vari strumenti (flauto, Moog, chitarra), come dei piccoli intermezzi nella narrazione, fino a un finale in crescendo che ci fa raggiungere il climax. In conclusione, c’è da dire da una parte che come album d’esordio di una giovane band, questo “Gerald” è senza dubbio una bellissima sorpresa, per la realizzazione, gli arrangiamenti e l’orchestrazione delle canzoni. D’altro canto l’impressione prettamente personale è che in questo disco manchi decisamente il colpo del KO, benché ci si giri attorno a lungo; il cantato, oltre che sotto-utilizzato, appare anche poco incisivo e lascia poco di sé. Il giudizio personale però è senz’altro positivo.
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Alberto Nucci
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