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LA GORGONA |
In quel luogo |
autoprod. |
2015 |
MEX |
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Il nome e il titolo di quest’album potrebbero facilmente trarre in inganno su questa band. Non si tratta di un gruppo italiano, bensì di un trio messicano, formato da musicisti messicanissimi, che però ha voluto in qualche modo omaggiare la propria passione per il rock progressivo italiano, non solo tramite la scelta del nome e del titolo ma anche proponendo uno stile musicale certamente ispirato al Prog italiano. L’album in questione, prevalentemente strumentale, include però due tracce cantate -lo immaginereste?- in italiano (almeno in parte). La Gorgona è formata, si diceva, da tre musicisti: Jaime García Mares (chitarra e tastiere), Gabriel Martínez (batteria) e Elizabeth Hernendez (basso e voce). Proprio della bella Elizabeth è la voce che cerchiamo di apprezzare nella title track e nella conclusiva “La Voce”; la pronuncia sembra essere decente ma la qualità sonora non ci consente a dire il vero di cogliere appieno il testo, problema questo che si presenta per tutto l’album, sicuramente registrato e prodotto non proprio appropriatamente, tanto da inficiarne pesantemente l’ascolto. Sembra effettivamente di ascoltare un demo registrato con mezzi di fortuna 30 anni fa, sia per la qualità del suono che per i salti spesso artificiosi tra una parte musicale all’altra. Per il resto, c’è da dire che “In Quel Luogo” è un album di quasi un’ora di durata contenente 7 tracce, tutte tra i 6 e i 9 minuti, apprezzabili senza dubbio per l’entusiasmo che trasuda dalle note proposteci da questi musicisti non certo di primo pelo. Lo stile è decisamente risedente all’interno del Prog sinfonico, come si è detto, con riferimenti precisi alle Orme, Balletto di Bronzo, Semiramis e altri gruppi minori della scena storica nostrana, non disdegnando comunque momenti di ispirazione più consona alla nazionalità del gruppo. Peccato che, mi duole ripeterlo e ribadirlo dolorosamente, l’album sia prodotto in modo così sciatto e artigianale, nel senso meno nobile del termine. Si passa da momenti in cui riusciamo, in qualche modo, ad apprezzare quanto il gruppo ci propone, ad altri (e sono, ahimé, la maggioranza) in cui i suoni ed i passaggi musicali riescono ad essere addirittura disturbanti. La batteria talvolta sembra annodarsi su se stessa (ed è di poca consolazione sapere che il batterista è uscito dal gruppo dopo la registrazione dell’album) ed anche le tastiere paiono a volte non sapere come procedere… magari dopo una parte in cui ci avevano fatto sperare di aver trovato la retta via. Mi spiace dover parlare male di un disco, ma non mi sento proprio di consigliare quest’album, che comunque qualche bel momento lo riserva, tutto sommato, se non come curiosità o per completismo.
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Alberto Nucci
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