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GREEN DESERT TREE |
Progressive Worlds |
Clostridium Records |
2019 |
GER |
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Capitatomi in mano quest’album, vedo che è di una nuova band tedesca, di Berlino per la precisione, e che viene inserito nell’etichetta neo-Prog. Uff… il neo-Prog tedesco in genere è foriero di prodotti musicali che non mi esaltano più di tanto; sarà la solita mescolanza di sonorità new-Prog, con qualche sonorità al limite del metal, qualcosa che di solito viene anche definito Prog moderno. Le prime note sembrano confermare quest’impressione, proponendo proprio quanto mi aspettavo, un rock energico e in assoluto non disprezzabile ma (per quanto mi riguarda) senza infamia e senza lode. Mano a mano che le note e i minuti scorrono, la mia attenzione, che era scemata ed era stata attratta maggiormente da altre cose, nota però in modo quasi subliminale che quanto sto ascoltando ha ora qualcosa di strano e poco lineare. Riporto tutta la mia attenzione sulla musica e mi rendo conto che le ritmiche e le melodie musicali si sono fatte tutt’altro che scontate e che la traccia che sto ascoltando (per inciso si tratta della quarta, “Cure of Change”) sembra una sorta di soft RIO in salsa heavy Prog, con elementi jazzati che si contrappongono ai riff potenti di chitarra. Un riascolto a mente sgombra è senz’altro d’uopo e ci fa scoprire dunque un album che si dimostra ben più interessante di quanto pensavamo dopo il primo distratto approccio. Le 11 tracce di questo debutto discografico sono ricche di sfumature interessanti, alternando momenti decisamente complessi come quello precedentemente descritto, brevi momenti strumentali molto eterei e cinematici, tocchi di jazz ed elettronica che vanno a variare una proposta che comunque, per la sua componente maggioritaria, è fatta da uno heavy Prog non forzato né eccessivo. Il cantato, ad opera del chitarrista Timo Enders, sembra muoversi in modo sinuoso, mantenendosi sempre su tonalità non molto elevate, arrivando spesso a diventare quasi un sussurro o producendosi in una prestazione ricca di melodia come su “A Glimpse of Eternity”, bel brano dai toni malinconici posto quasi in chiusura dell’album, contenente anche pregevoli assoli di chitarra e tastiere. Un album che riesce dunque ad offrire elementi d’ascolto interessanti e che sembra racchiudere ben più sostanza di quanto possa apparire di primo acchito.
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Alberto Nucci
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