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GALAAD |
Frat3r |
autoprod. |
2019 |
SVI |
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Quante cose accadono in 23 anni? Nel ’96 il mondo era… un altro mondo, diverso da quello in cui ci troviamo a vivere oggi, e gli svizzeri Galaad, band originaria di Moutier, un ridente paesino dei monti del Jura, dava alle stampe il suo secondo album “Vae Victis”, decisamente diverso dal predecessore di 4 anni prima (“Premier Février”), intriso quello di riverente ammirazione per il new Prog inglese e per gli Ange. “Vae Victis” spiazza tutti per le sue sonorità aggressive, realmente metal a tratti, crossover, irriverente stavolta ed innovativo per certi aspetti. Dopo di esso la band sparisce, travolta dalle correnti della vita che porterà alcuni dei musicisti, ancora poco più che ragazzi all’epoca, lontano dal paese natio. L’estroso vocalist Pierre-Yves Theurillat farà ancora sentire la sua voce con due album solisti ed un progetto, L’Escouade, che riprende in parte il discorso iniziale dei Galaad, ma è nel 2016 che i ragazzi, qualcuno oramai stempiato o ingrigito, che registrarono l’oramai lontano esordio discografico (col ritorno quindi del bassista Gérard Zuber, assente nel lavoro successivo), decidono di ricominciare a suonare assieme e successivamente di dare finalmente un seguito a quell’album. Oltre ai due nominati, completano la formazione quindi la chitarra di Sébastien Froidevaux, le tastiere di Gianni Giardiello e la batteria di Laurent Petermann. “Frat3r” quindi non può che essere accolto con curiosità, cercando di immaginare quale sarà la direzione musicale che i cinque ex-ragazzi decideranno di prendere, dopo così tanto tempo. Ci troviamo alle prese con un album non lunghissimo (46 minuti), suddiviso in 8 tracce. Andiamo a cominciare l’ascolto e la traccia di avvio (“La Machine”) inizia lentamente; la voce di Pierre-Yves (detto PYT) è maturata ma è ancora graffiante e ricca di personalità. Piano piano il brano prende quota… anzi, comincia letteralmente a volare, crescendo di intensità, sia a livello vocale che strumentale, con grandi armonie di chitarra e tastiere per un brano carico di drammaticità e dai vaghi riferimenti floydiani e marillioniani. Un inizio grandioso, oserei dire. Si sfocia così nel breve strumentale “Moloch”, caratterizzato dalla stessa urgenza strumentale e da un notevole assolo di chitarra, per prenderci poi una pausa col successivo “Kim”, dalle ritmiche leggermente più easy e un sapore pop comunque condito dalle ottime, ed oramai consuete, belle armonie di chitarra e dal cantato teatrale e coinvolgente. “Stone” è l’unico brano a superare i 9 minuti, anch’esso costruito in crescendo; dopo un avvio molto cauto, il pezzo si scatena in un furioso strumentale nella sua sezione centrale, questa volta con le tastiere in primo piano, arrivando a placarsi molto gradualmente, dopo una lunga parte solenne ed antemica. Oramai il marchio di fabbrica Galaad, almeno per questo album, è definito ed i brani successivi, almeno dal punto di vista stilistico, non riservano grosse sorprese. “Justice”, che ha connotati politici e trae ispirazione da un referendum, molto controverso a quanto pare, che ha deciso l’uscita del villaggio di origine dal cantone bernese per confluire in quello del Jura (una piccola Brexit elvetica), assume un’andatura furiosa e drammatica fin dall’inizio. “Merci (puR)”, anche se ripercorre gli stilemi fin qui usuali, ha un sapore un po’ particolare, vagamente orientale. La successiva “Encore!” inizia veloce e ritmata, con tastiere elettroniche e piuttosto anni ’80, ma sviluppa la sua seconda parte su un lunghissimo assolo di chitarra. Siamo arrivati all’ultima traccia, la title track che, pur con un inizio a cappella, si sviluppa poi sui consueti umori drammatici e su sonorità tendenti al new Prog. Devo ammettere che l’album è a tratti addirittura entusiasmante, carico di tensione in quasi tutta la sua durata e beneficia di musicisti veramente ispirati, malgrado l’ipotetica inattività di questi anni, con voce, chitarra e tastiere (ma non sottovaluterei neanche l’ottimo batterista) che forniscono prestazioni decisamente sopra le righe.
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Alberto Nucci
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