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FREDERIC GERCHAMBEAU / BRUNO KARNEL |
Amra |
autoprod. |
2019 |
FRA |
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Si sente spesso parlare di musica senza barriere e Bruno Karnel, cantante e polistrumentista francese, è sicuramente un artista che con i suoi progetti ama esplorare i mondi più disparati, al punto di definire la sua proposta come “nomadic rock”. Influenze derivanti da ogni angolo del mondo si avvertono nei suoi primi lavori, per i quali l’etichetta world music va applicata nel senso più ampio del termine. Non pago di questa sua attitudine l’incontro con l’esperto di elettronica Frédéric Gerchambeau lo ha spinto ad ampliare ulteriormente gli ambiti della sua ricerca musicale. Nasce così questo “Amra” (“Eternità” in sanscrito), un disco in cui il tasso di sperimentazione è davvero alto, ma nonostante questo non si presenta di difficile ascolto. I brani in esso contenuti sono caratterizzati spesso da parti recitate dalla forte teatralità, tipicamente francese, su suoni elettronici che creano un’atmosfera bizzarra e che nei momenti in cui la voce si assenta vengono supportati da sonorità acustiche che rendono ancora più stravagante il tutto. Certe sequenze reiterate alimentano un senso di oppressione, anche se la rinuncia a batteria e drum-machine non rende estrema la cosa. Tuttavia, man mano che l’ascolto va avanti, pur avvertendo le buone intenzioni e l’originalità del duo, la noia comincia un po’ ad affiorare. Si arriva così un po’ stancamente, trascorsi cinquanta minuti, all’ultima traccia “Axolotl”, che rappresenta senza dubbio il momento clou dell’album. Si tratta di una composizione ad ampio respiro, che raggiunge i sedici minuti e che è più movimentata rispetto alle precedenti. Già l’inizio con chitarre elettriche sovraincise, cariche di effetti e di feedback mostra una direzione un po’ differente rispetto a quanto ascoltato finora. Il sound in generale è più duro e rende ancora più straniante e ossessiva la musica. Si avverte un’atmosfera plumbea e si capisce che una tempesta sta per scoppiare. L’accoppiata Karnel-Gerchambeau sembra voler portarci allo stremo con questo senso di inquietudine, ma dopo quattro minuti e quaranta secondi c’è un bagliore di luce, con una parte più pacata, in cui il cantato riporta a certe soluzioni teatrali e un po’ oscure tipiche del prog transalpino. Verso i sette minuti c’è un intermezzo caratterizzato da un riff ripetuto di chitarra che va in dissolvenza e dagli effetti elettronici che cedono poi il passo a nuovi passaggi vocali evocativi. Sembra quasi fare capolino il rombo incalzante dei vecchi cari Van der Graaf Generator, con certe venature dark e misteriose, al quale si affianca il ruggito della sei corde che fa avvicinare prog e doom. Nel finale il canto di Karnel sembra quasi quello di uno sciamano di una lontana popolazione. Una composizione davvero degna di nota, ma non sappiamo se è sufficiente per dare un giudizio positivo sul disco. Forse siamo di fronte ad un lavoro che può rappresentare una curiosità da soddisfare per chi ama questo tipo di sperimentazioni, ma abbiamo più di un dubbio che chi non è avvezzo a certe sonorità, all’idioma francese e ad una visione così particolare della musica possa trovare molti spunti di interesse in “Amra”.
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Peppe Di Spirito
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