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GHOST RHYTHMS |
Imaginary mountains |
Laboratoire d'Exploration Musicale |
2020 |
FRA |
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Le montagne immaginarie del titolo sono quelle che alcuni cartografi dell’Ottocento disegnarono, in base alle loro errate considerazioni, nelle mappe della Guyana Francese dell’epoca ma i monti Tumuc Humac, che dividono il bacino amazzonico dall’area costiera atlantica, sono, nella nuda realtà dei fatti, poco più che semplici colline. Il loro mito spinse avventurieri come Raymond Maufrais, che consacrò la propria vita alla ricerca di queste montagne, verso esplorazioni che finirono per assumere contorni quasi mistici, lungo i confini, talvolta labili, che dividono la realtà dall’immaginazione. Il viaggio di Camille Petit (pianoforte e tastiere) e Xavier Gélard (batteria), leader e principali autori della musica dei Ghost Rhythms, inizia in piena pandemia Covid-19, nel mezzo del lockdown francese. Con i concerti cancellati, durante la quarantena era diventato impossibile persino vedersi per le prove settimanali. Lontani dallo studio, dove erano abituati a lavorare per comporre e registrare, Camille e Xavier hanno provato, come tanti altri, a fare musica a distanza registrandola a casa. Se davvero i sogni, i pensieri, le emozioni contribuiscono a dare forma alla realtà che ci circonda, così queste nuove esperienze associate alle difficoltà e alle suggestioni del momento hanno guidato i musicisti verso un nuovo percorso creativo. I Ghost Rhythms ci avevano lasciati con un album “cinematico” e di ampio respiro come “Madeleine” (2015), elegante, stratificato, complesso e incredibilmente comunicativo, un crocevia fra jazz e musica da camera con un dono narrativo cinematografico. Ma stavolta il duo si è visto costretto a ripensare tutto, progettando nuove canzoni di impatto più modesto. Avendo difficoltà a registrare le parti di batteria in modo soddisfacente, i due hanno pensato di concentrarsi soprattutto sul versante orchestrale della loro musica, sfruttando a pieno il potenziale di fisarmonica (Alexis Collins), violino (Augustin Lusson), violoncello (Nadia Mejri-Chapelle), sax (Maxime Thiébaut), flauto (Maxime Thiébaut e Julien Bigorgne), basso (Gregory Kosovski ), clavicembalo (Darja Zemele), viola (Tom Namias) e chitarra (Ton Namias e Guillaume Aventurin). “Sierra de Tamuraque” (altro nome col quale sono stati designati i monti Tumuc Humac) e “Oayana Circles” (riferimento ad una tribù della Guyana francese) sono stati i primi due pezzi nati grazie a questo processo. Il primo, il più breve dell’intero album (un paio di minuti), è un vivace mosaico di suoni scintillanti con il ritmo che viene scandito dal basso e dalla chitarra elettrica; il secondo (4 minuti) è un idillio cameristico dominato da suoni gentili che creano un’ambientazione fantastica e misteriosa. Il flauto ed il sax aleggiano su un substrato di corde pizzicate ed arpeggiate mentre il pianoforte è come una gelida pioggia sottile. L’impatto è minimalista ma in uno spazio così piccolo sono racchiusi tantissimi e minuti dettagli a dar vita ad un quadretto delizioso che rievoca molto la magia degli Aranis. A stretto giro sono arrivati “Path to Oyapock”, posto in apertura dell’opera, che trae il suo nome dal fiume che segna i confini fra Brasile e Guyana Francese, “Vie de Raymond Maufrais”, collocato invece in chiusura, che ricorda il celebre avventuriero, e “Le Mont Analogue”, titolo che deriva da una novella esoterica di René Daumal. Tutti questi brani hanno una durata che si aggira sui 3 minuti e mezzo e condividono una visione molto cameristica. “Le Mont Analogue” colpisce in particolare per la compenetrazione di suoni synthetici ed orchestrali quasi deformati in uno strano gioco di specchi e per le sue atmosfere stranianti e un po’ noir. Ben presto quello che doveva essere un semplice EP iniziò a prendere le sembianze di un vero e proprio album. Il brano “Coudreau’s Dream” (il titolo si riferisce all’esploratore Henri Coudreau che contribuì a creare la leggenda dei monti Tumuc Humac) diede una svolta a tutto il processo compositivo. Il brano fu scritto senza pensare alla sua struttura ritmica e la batteria, ideata per un altro progetto, fu aggiunta in un secondo momento mescolando così due idee diverse fra loro. Il risultato è davvero interessante e coerente nonostante le intersezioni dei diversi piani sonori. Il brano ha una ossatura elettrica ben pronunciata ed un andamento frastagliato e dinamico che potrebbe ricordare per stile e colori qualcosa degli Univers Zero. Molto belle ed audaci sono le parti di fisarmonica che si lancia in assoli distorti, facendosi strada agilmente fra la selva di strumenti, mentre le orchestrazioni si riducono in favore di un sound guizzante ed asciutto. Al vertice di questo percorso creativo, che si è protratto fino al ritorno nello studio di registrazione dove l’opera è stata messa a punto, si staglia sicuramente “Tumuc Humac”, il brano più lungo (11 minuti) e complesso dell’album. Qui i Ghost Rhythms hanno davvero superato sé stessi con una composizione incredibilmente articolata che danza su tempi diversi. I percorsi musicali sono qui molto reminiscenti di Hermeto Pascoal per quell’elegante oscillare fra jazz e musica cameristica che contraddistingue la sua scrittura dai colori vivaci. Altro brano superbo è “Horizontal Ascension” in cui il viaggio verso la montagna visto come meta mistica simboleggia il proprio percorso di evoluzione e ascensione personale. Per la prima volta nella storia del gruppo compaiono dei testi interpretati dalla voce delicata di Sonia Bricout che si perde quasi fra gli strumenti elettrici che fanno quasi muro. Notevole è l’interpretazione del violino che ricorda molto la Mahavishnu Orchestra e si staglia su incastri ritmici articolati e sconnessi. I tre brevi interludi designati dalla sigla “GR” si riferiscono ovviamente alle iniziali del gruppo ma anche ai sentieri da trekking che in francese sono indicati dalla dicitura “sentiers de Grande Randonnée”. Questi sono stati realizzati successivamente manipolando i suoni utilizzati per l’album ai quali sono stati uniti parti di sax appositamente scritte per queste tracce. Il viaggio come meta, come scoperta e cammino di rinascita personale, gli inconvenienti disseminati lungo il percorso che ci spingono a trovare strade alternative, la musica come parte di un percorso personale. Tutto questo è racchiuso nel nuovo album dei Ghost Rhythms, un’opera particolare e unica per ispirazione e per le circostanze che hanno accompagnato la sua nascita. Spero che il gruppo ne faccia tesoro per portarci nel prossimo futuro ancora più lontano con nuovi ritmi e nuove soluzioni. Per il momento questo potrebbe essere il mio disco dell’anno.
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Jessica Attene
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