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GLACIER |
Island in the sky |
autoprod. |
2021 |
UK |
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Il terzo album di questa non certo prolifica band sembra essere anche il migliore. I due precedenti lavori, risalenti al 2001 (“Monument”) e al 2015 (“Ashes for the Monarch”), erano appena discreti album di new Prog, piuttosto scialbi e senza particolari guizzi. “Island in the Sky” vede ancora in pista il quartetto di fondatori, costituito da Dave Birdsall (voce), John Youdale (chitarra e voce), Dave Kidson (tastiere) e Bob Mulvey (basso), affiancato da alcuni collaboratori tra i quali va senz’altro segnalato Chris Wing (violino, viola, violoncello e flauto) il cui ruolo appare determinante per la buona riuscita di quest’album. Completano questa line-up Mike Winship (voce), Mark Burley (batteria), oltre ad un paio di coriste. Il gruppo riesce questa volta a confezionare un’ora di musica, suddivisa in 11 tracce, decisamente gradevole che riesce a catturare da subito la nostra attenzione, orientata su uno stile new Prog non troppo dissimile da quanto precedentemente ascoltato da loro, ma stavolta confezionato in maniera sicuramente più convincente e, come si diceva, con gli archi di Wing che assumono un ruolo decisamente determinante. Niente di imperdibile, beninteso, ma annotiamo con piacere il buon salto di qualità della band. “The Isle of Glass” ci ricorda decisamente i Pink Floyd più recenti, con similitudini decise con “On the Turning Away” che, al di là delle belle sonorità, ci inquieta un po’, anche se in realtà si tratta di una rielaborazione della omonima traccia che chiudeva l’album precedente della band. Il violino sale decisamente in primo piano fin dall’avvio nella successiva “Union”, contraddistinguendone le melodie per poi andare a duettare con la chitarra. Il cantato ha spesso caratteristiche corali, sfruttando i due vocalist di ruolo e i backing vocals di altri musicisti; una scelta interessante che tuttavia non sempre esita in risultati del tutto positivi. “Our Children” è un brano abbastanza divertente che acquista caratteristiche più tipicamente new Prog, con una parte centrale strumentale in cui fa la sua comparsa il flauto; il tutto non potrà non essere apprezzato dagli sweethearts del genere. “The Icing on the Wake” è il brano più lungo dell’album, arrivando a sfiorare gli 11 minuti. Esso è caratterizzato da piacevoli sonorità sinfoniche ma anche da parti parlate che vanno a mischiarsi con musica e parti cantate e un piacevole déjà-vu di atmosfere alla Yes pervade costantemente il brano, pur non arrivando a parlare di plagio. Prendiamoci 4 minuti di pausa con lo strumentale “Lament for Persephone” per arrivare ad affrontare la genesisiana “The Man Who Cried”, ispirata al film “The Elephant Man”. La chitarra hackettiana di Youdale ha un ruolo da protagonista in questa traccia, anche se il finale è affidato alle note di pianoforte di Kidson. La parte finale dell’album è occupata da una sorta di mini-suite, anche se così non è indicata nelle note, che copre 5 tracce (tra cui un intro, un outro e un interludio). I Glacier riescono finalmente ad offrirci un album degno di nota, frutto di una rinvigorita vena compositiva nonché, come si diceva, del positivo innesto degli archi all’interno delle sonorità della band. Un album da apprezzare sia per il buon salto qualitativo che per le sue qualità musicali, le quali ce lo fanno decisamente consigliare a chi è alla ricerca di suoni romantici e sinfonici.
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Alberto Nucci
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