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HEADSHEAR Headshear Big Balloon Music 2006 USA

Se riuscissimo a superare il rigetto per una copertina che dire brutta è poco (il bassista che ne è l‘autore secondo me dovrebbe suonare e basta, visto che lo fa anche bene), aprire la confezione e mettere questo cd nel lettore, ci troveremmo di fronte ad una bella sorpresa.
Chi ha detto che i King Crimson della triade Discipline-Three of a Perfect Pair-Beat non siano amati da chi suona e dal pubblico prog?
Personalmente trovo Discipline una delle cose migliori fatte dal gruppo di Robert Fripp, la cui bellezza e innovazione è oscurata più che altro dai grandi capolavori fatti dal gruppo inglese negli anni 70.
Gli Headshear dovrebbero pensarla come me perché questi 54 minuti trasudano atmosfere crimsoniane da tutti i pori, evitando in maniera molto intelligente di sfornare una fotocopia del gruppo dell’era Fripp, Levin, Belew e Bruford. Certo, il suono del re cremisi è preponderante, ma possiamo trovare anche atmosfere alla Ozric Tentacles echi di jazz fusion, e anche tracce di funk.
Il gruppo di San Francisco è formato da Gwynn Adams e Deindre Lynds alle chitarre, Van Spragings al basso, e Matthew Guggemos alla batteria ma nella metà dei brani le chitarre diventano tre grazie agli interventi di Igor Abuladze e Wally Scharold.
Il combo californiano ci propone un'oretta di musica interamente strumentale, dove chitarre effettate con delay e basso stick fanno spesso la voce grossa. Le atmosfere sono quindi molto dilatate, ma il tutto risulta abbastanza gradevole e quasi mai stucchevole. La padronanza dello strumento, soprattutto dei chitarristi, li porta spesso ad assumere in qualche pezzo atteggiamenti Holdsworthiani, vedi i tre minuti di "Mechanically Separated Chicken" e le due parti di "Chunky Nawy", ma tutto sommato questi intermezzi virtuosistici servono anche a spezzare il ritmo di questo lavoro che rischierebbe di sfociare nella monotonia. Simpatico anche "Urban Conversation", con echi funk che non stonano per niente. Il rischio di monotonia si corre fortemente invece nei 12 minuti di "Viscous", a mio modesto parere troppo lungo per un gruppo come gli Headshear; belle atmosfere senza dubbio ma l’eccessiva lunghezza del brano non rende merito al pezzo.
La traccia secondo me più valida dell’intero lavoro, è l’ultimo brano "The bitter cold" che mi ha ricordato molto i California Guitar trio nei lavori con Tony Levin. In questo brano il gruppo riesce a far emergere le caratteristiche individuali degli elementi, che sono messe tutte a servizio della buona riuscita del brano.
Tutto sommato un buon disco d’esordio per questo gruppo, che potrebbe piacere sia agli amanti del rock progressive sia a chi ama quelle trame chitarristiche fatte di virtuosismi mai fine a se stessi.
Questa uscita segna anche il ritorno sulla scena discografica dopo oltre un anno della Big Balloon Music e tutto sommato è un rientro azzeccato.

 

Antonio Piacentini

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