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HG L'ombra blu del cuore Acciuga Records 2010 ITA

Per introdurre questo progetto solista del polistrumentista torinese Fabrizio Goria, vorrei partire dalla storia della sua band di provenienza, quei Fancyfluid che durante gli anni ’90 tennero alta la bandiera del progressive rock italiano assieme ad altre band tanto elogiate quanto – spesso e volentieri – purtroppo dimenticate dai più. La band esordì con un album, “Weak waving” ancora acerbo, ma riscosse ottimi riscontri di critica con il successivo “King’s journey”, lavoro ambizioso che poteva vantare collaborazioni come quella di Rodolfo Maltese del Banco e Pietro Ratto degli Aton’s. Dopo il canto del cigno “The sheltering sea”, risalente ormai ai sedici anni orsono, in cui pareva esser stata ritrovata un’unità di gruppo, nessuna notizia abbiamo più ricevuto dall’universo Fancyfluid.
Oggi ritroviamo nel progetto Hg (per Hydrargyrum, ossia l’elemento chimico Mercurio) assieme a Goria, il tastierista e compagno di band Sandro Bruni, ma in alcun modo possiamo considerare questo “L’ombra blu del cuore” affine alle tematiche sonore cui ci avevano abituato, ossia un rock debitore del prog italiano degli anni ’70 ma cantato in inglese: Hg parla invece il linguaggio di un pop-rock elettronico con liriche in italiano, influenzato da esperienze trip-hop e basato sui suoni di sintetizzatori e sequencer, in cui Fabrizio si occupa di tutti gli strumenti con rari interventi esterni di basso (Mauro Germinario) e chitarra (Andrea Berardo) in due brani.
Già la title-track con la sua melodia vocale ripetitiva, i suoi arpeggi di chitarra e i gorgoglii di synth su un ritmo pulsante mette in chiaro quelli che personalmente indico come pregi e difetti dell’intera proposta: l’integrazione tra strumentazione vintage (synth monofonici, è sempre un piacere ascoltarli!) e moderna, tra suoni organici e sintetici funziona ma l’ispirazione procede a corrente alternata; inoltre, non posso fare a meno di annotare una mia idiosincrasia: devo ammettere che - mentre apprezzavo l’interpretazione di Fabrizio ai tempi dei Fancyfluid, pur non essendone il punto di forza - in alcuni di questi brani come “Piccoli naufragi” o “Mosaico” mi riesce davvero difficile digerirla, trovandola monocorde e dall’intonazione incerta: ciò influisce non poco sul mio gradimento finale del disco.
Va meglio quando le linee vocali sono più soft come ne “La mosca in scatola”, basata su un piano elettrico, o filtrate come in “Lussuria”, brano dall’arrangiamento più organico grazie al piano ed alla chitarra wah-wah, mentre gli sviluppi strumentali interessanti de “L’ora del tramonto” sono di nuovo inficiati da linee vocali piuttosto imbarazzanti; stesso discorso per “La fine dei giorni in paradiso”, che resta comunque il brano più prossimo al passato progressivo di Fabrizio. Pollice alzato per la conclusiva “Il grande vuoto”, la cui struttura più convenzionale pare essere più congeniale all’autore e potrebbe indicare la giusta via da seguire nel futuro del progetto Hg.
Il mio giudizio finale purtroppo non può essere troppo positivo, sia per le questioni oggettive descritte che per un mio scarso interesse nel genere synth-pop qui predominante: la presentazione che accompagna il CD parla di un amalgama sonoro difficile da definire e prova ad accostarlo a “Mark Hollis dei Talk Talk che suona con i Massive Attack”; personalmente non amo i secondi, ma adoro i due album “evoluti” dei Talk Talk e quel gioiellino dimenticato che è l’album solista di Hollis… mi spiace dover dire che non trovo qui neanche l’ombra delle stesse emozioni.


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Mauro Ranchicchio

Collegamenti ad altre recensioni

FANCYFLUID King's journey 1992 
FANCYFLUID The sheltering sea 1995 

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