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HIDDEN ORCHESTRA Archipelago Full Thought 2012 UK

Questo album è come una leggera nebbiolina che si insinua fra le cose e che lentamente e impercettibilmente si infiltra nel paesaggio tutt’attorno, non ne senti l’odore e non ne percepisci il tenue movimento strisciante ma all’improvviso, alzando lo sguardo che per un po’ distrattamente avevi distolto dalla realtà, te la ritrovi tutta lì, con tua grande sorpresa. E’ così che ho scelto questa musica come sottofondo per fare altre cose, l’ho lasciata espandersi nello spazio attorno e senza che me ne accorgessi ha finito per occuparlo tutto… alla fine, terminata l’ultima canzone, ho sentito una fredda e insolita sensazione di vuoto. Tutto molto strano, bisognava necessariamente ricominciare l’ascolto da capo, questa volta mettendoci un po’ di attenzione: certi fenomeni vanno indagati!
“Archipelago” è il secondo album in studio della Hidden Orchestra, un quartetto di Edimburgo che ruota attorno alla figura del compositore Joe Acheson (contrabbasso, basso, zither, kantele, piano, ukulele, registrazioni ambientali) e completato da Poppy Ackroyd (violino, viola e piano), Jamie Grahm (batteria e percussioni) e Tim Lane (batteria, trombone, percussioni e didgeridoo). Come avrete capito il gruppo è molto bravo nella creazione di atmosfere potenti che vengono imbastite utilizzando sonorità artificiali ed acustiche, convogliate in un seducente miscuglio di jazz e musica elettronica, impreziosito da eleganti screziature classiche e folk. La musica ha un tocco essenziale e sofisticato e gira essenzialmente su ovattate timbriche basse a contrasto delle quali rilucono mille fini particolari, forniti anche da diversi ospiti che suonano violoncello, sega musicale, arpa elettrica e celtica, low whistle, kaval, sax soprano, clarinetto, corno francese e sax alto. L’album nasce dalle esperienze maturate negli ultimi cinque anni e sviluppa tecniche e visioni già affrontate nell’esordio “Night Walks”. E’ comunque un’opera molto unitaria e ciò è dimostrato dal fatto che la musica sembra abbracciarci e avvolgerci progressivamente e lentamente, senza stacchi emotivi fra un pezzo e l’altro. La stessa traccia di apertura, “Overture”, fa da cornice all’intero disco anticipando diversi motivi che poi verranno via via a riaffacciarsi nei successivi nove brani. Nonostante questo ogni pezzo presenta le sue particolarità, sulle quali l’orecchio può benissimo fare a meno di soffermarsi o al contrario può indugiarvi lasciando che la morbida base musicale acquisti vividi dettagli. Le onde ed il cinguettio degli uccelli che introducono “Spoken” provengono dall’isola di North Rona mentre la tromba di Phill Cardwell procede sugli impulsi ritmici e regolari di suoni gravi, generando un loop irresistibile.
Siamo solo all’inizio del viaggio e in “Flight” l’arpa scintillante di Mary Macmaster disegna languide suggestioni folk accompagnata da archi timidi eleganti e dal low whistle in un crescendo emotivo fatto di suoni che sembrano ribattere continuamente come onde che ciclicamente si riformano. Con “Vorka” ci spostiamo dal folk scozzese al Giappone con una sequenza musicale inizialmente pensata per accompagnare un documentario sci-fi. La melodia è qui disegnata dagli ululati sommessi ed inquietanti della sega musicale di Su-a Lee che si alterna ai ricami del violoncello.
Senza perdersi nella rassegna di tutte le tracce voglio citare “Seven Hunters”, un brano inizialmente concepito per violoncello e orchestra d’archi e ora costruito grazie a campionamenti che offrono sonorità dal sapore naturale e impercettibili intarsi generati da diversi strumenti in un collage artificiale ma che globalmente dà una strana sensazione di spontaneità e freschezza. Un’ultima citazione la lascio per la conclusiva “Vainamoinen” registrata in Finlandia e in cui possiamo ascoltare il brillante suono del kantele, uno strumento a corde tipico di questa terra.
Per come è concepito, l’album trova il suo massimo significato in questa forma registrata, anche se il gruppo, che è avvezzo a suonare ed improvvisare, ne propone delle versioni dal vivo. Forse non ci crederete ma quest’opera di sintesi, che gioca molto sulle ambiguità offerte dall’intrecciarsi di musica reale, suonata, ed artifici sonori e timbrici, è in grado di irretire l’ascoltatore in maniera quasi subdola, alle spalle, accarezzandogli dolcemente le orecchie con i suoi suoni gravi. Munitevi quindi di cuffie, tarate l’equalizzatore sulle frequenze basse ed abbandonatevi senza timore.. oppure lasciate che il disco vada per conto suo mentre fate altro, alla fine sarà la musica che vi chiamerà a sé.



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Jessica Attene

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