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HUIS Despite guardian angels Unicorn Digital 2014 CAN

New prog si. New prog no. Ventata di aria fresca o semplice ricambio di atmosfera per poi richiudere l'ambiente e lasciarlo alla polvere ed alle ragnatele? Quanti considerano le band che si rifanno alle sonorità dei vari Genesis, Yes e quant'altro, come validi e degni successori e quanti li “bollano” come semplici imitatori senza fantasia e personalità, per non dire peggio? Sta di fatto che di new prog si parla sempre (ed è già importante...) e qua e là nel mondo sorgono sempre gruppi che quei suoni li hanno nel loro DNA. Tra i più recenti, i canadesi Huis che proprio pochi mesi fa hanno pubblicato il loro primo album, “Despite guardian angel”. Formati per merito del tastierista Pascal Lapierre e del bassista Michel Joncas già nel 2009, reclutano il cantante Sylvain Descôteaux, il batterista William Régnier ed il più conosciuto Michel St-Père (chitarrista, leader e fondatore dei Mystery) per completare la line-up e registrare il materiale composto, stimolati in questo da un viaggio in Olanda di alcuni di loro. Undici composizioni, alcune delle quali sfavillanti, altre più malinconiche e di atmosfera che non fatichiamo ad inserire nel sempre più vasto “calderone” new prog e che spaziano dagli IQ, ai Pendragon, dagli Arena, ai Comedy Of Errors, passando per i più “leggeri” Silhouette o Knight Area. Arrangiamenti e sonorità pulitissime, aiutano a confezionare un album piacevole anche se con qualche caduta di ispirazione che si nota in più brani. Non certo nella introduttiva “Beyond the Amstel”, che dopo un inizio soft, cresce di intensità sprigionando ottime melodie e tutto quanto si chiede a questo tipo di brano: fraseggi ripetuti chitarra/tastiere, qualche cambio di ritmo, un bel “chorus”. E qui c'è tutto. Prendere o lasciare. Più malinconica, ma con le stesse caratteristiche della precedente, e quindi senz'altro gradevole, anche “The last journey”, con la chitarra di St-Père in evidenza nel finale. Cariche di pathos e raffinatezza i due strumentali dedicati alla cattedrale “vecchia” di Amsterdam (“Oude kerk I & II”) che sfiorano sonorità “cameliane” e mettono in evidenza le buone inclinazioni del gruppo. Non mancano episodi insipidi e meno convincenti come “Lights and bridges”, povera di contenuti e poco ispirata. La stessa “Little Anne”, malinconica, soffusa ed intimista per buona parte del suo dipanarsi (e quindi un poco distante da altri brani del cd) stenta comunque a farsi notare positivamente. Una notevole interpretazione vocale di Descôteaux aggiunge un po' di feeling alla non eccezionale “If by morning”, malgrado una pregevole sezione strumentale centrale con il “caro estinto” Hammond che lascia un buon ricordo di sé. Un poco melensa “Write your name” (che diventa più aggressiva nel finale), piuttosto scontata “Salvation” (e un po' irritanti i numerosi cori…), solo un accenno meglio “Garden of dust”, più d'impatto e con ancora la sempre convincente voce di Descôteaux in primo piano. Un album carino, leggero, di facile presa, ben eseguito. Un esordio nel complesso più che sufficiente ma, visto il talento dei “singoli”, ci aspettiamo di più e di meglio sin dalla prossima occasione.


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Valentino Butti

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