Home
 
HERBA D'HAMELÌ Interiors autoprod. 2015 SPA

Gli anni sembrano essere passati molto velocemente. Partendo da quel settembre 2001, quando alcuni appassionati di rock sinfonico anni ’70 e Jethro Tull si incontrarono per dar poi vita a tutta una serie di concerti. Si sarebbe ben presto giuntiall’esordio dell’anno successivo con “La dansa de lesrates”, registrando vari cambi di formazione ed arrivando quindi al sesto album nel 2015, con una scadenza di pubblicazione più o meno regolare. Sono infatti passati tre anni dal precedente “Girafes a Sibèria”, che con il suo andamento tranquillo faceva seguito all’acclamato “Inversalvisual” (2009). Gli inizi erano caratterizzati dall’influenza della cultura musicale popolare catalana, in particolar modo la Companyia Eléctrica Dharma, a cui si accompagnava comunque l’interesse per il prog sinfonico di cui sopra. Di sicuro i vari mutamenti di line-up avranno fatto sentire il loro peso nel corso del tempo; i diretti interessati hanno infatti avuto modo di dichiarare che ad un certo punto si sono compenetrati definitivamente nel rock progressivo, prendendo come riferimenti i connazionali Iceberg (soprattutto il primo lavoro, ci sarebbe da specificare) e poi Camel, PFM, oltre ai Jethro Tull ed ai King Crimson che già erano presenti.
Se si desiderava una continuazione della quiete del precedente lavoro, si rimarrà delusi; se invece si voleva un’iniezione di energia che riportasse ai fasti del 2009, già gli undici minuti abbondanti dell’iniziale “Extasi terrena” metteranno le cose in chiaro. Un brano per lungo tempo strumentale, che attacca come una sorta di King Crimson smussati nella loro spigolosità proprio dai Camel, con una prima parte forse un po’ troppo ripetuta, che però lascia di colpo il campo d’azione agli assoli di chitarra, che scorrendo in maniera fluida sembrano far scivolare verso terra. Questi inserimenti repentini saranno una piacevole costante dell’album, con cui spezzare l’andamento a cui si era fatto abituare l’ascoltatore. Anche il cantato nel finale sarà emblematico, con la lingua catalana (sì, lingua, non “semplice” dialetto) che si adatta perfettamente al contesto ed il ritornello che mostra l’enfasi tipica della cultura iberica. La seguente “Claritat” supera anch’essa i dieci minuti e col suo incedere enigmatico metterà ben in luce tutti gli strumenti di cui il sestetto è capace di suonare, citando anche (non si sa quanto volontariamente) le parti strumentali più sofferte del Banco del Mutuo Soccorso. Belle le fasi suonate dal flauto, con il basso che scandisce nitidamente le sue note tra vibrafono, suoni densi e solite improvvise partiture soliste di chitarra e tastiere, sorrette da una batteria che segue tutto sempre con una certa discrezione. Anche qui, davvero molto enfatici i minuti finali.
La strumentale “Experimentació”, sebbene della durata di cinque minuti, è divisa in altrettante parti e si rifà chiaramente alla sempre presente band di Andy Latimer, prima di arrivare alla più lunga del lotto, cioè la conclusiva “Viatge”. La campana grande dell’oratorio di “Sant Felip Neri de Gràcia” dà il via ad una composizione che sfiora i venti minuti e che si dimostra una summa dei “sinfonismi” a cui hanno attinto i catalani di Barcellona in questi anni; ci sono spesso delle voci e dei cori tenorili (ben bilanciati, per fortuna), pianoforte e sintetizzatori che conferiscono un senso di grandezza che poi ben si adatta alla voce e alle note soliste che scorrono molto piacevolmente, oscillando tra il folk-prog ed il jazzato. Ancora una volta i Camel sono in primo piano e magari ci potrebbe essere qualche vago (ma molto vago) accenno ai Gryphon.
La copertina e le immagini interne sembrano alludere a multiformi deliri interiori, facendo immaginare che i brani siano comunque legati tra loro da delle tematiche socio-psicologiche. Sarà poi vero? Intanto, ben tornati!



Bookmark and Share

 

Michele Merenda

Italian
English