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HANAGARIA Court of hallucinations autoprod. 2016 ISR

Il nome che la band si è scelta in ebraico significa carpenteria e si riferisce al negozio del padre di Dean Katz Ritov ove questo soleva passare le giornate ad ascoltare musica. Assieme a Dean nel gruppo ci sono altri quattro musicisti abbastanza eclettici (ognuno di essi suona più strumenti) che nell’ottobre del 2016 pubblica con le proprie sole forze quest’album di esordio. I riferimenti musicali, a quanto afferma la band stessa, si chiamano King Crimson, Estradasphere e Mr. Bungle (io ci aggiungerei i russi Uphill Work); il risultato che possiamo ascoltare risiede senza dubbio nell’ala psichedelica del Prog e, occorre dirlo, sembra parecchio penalizzato dall’inesperienza dei giovani musicisti, con una registrazione che lascia un po’ a desiderare, sia in quanto alla qualità della stessa (ma qui si può anche essere clementi) che alla dinamicità e agli arrangiamenti delle canzoni.
Le 6 composizioni dell’album presentano ampie atmosfere di tastiere, frequenti incursioni dal sapor mediorientale, accenni jazz-rock e… sì, dove più e dove meno, un tocco della follia alla Mr. Bungle che la band rivendica, racchiusa essenzialmente nella seconda parte dell’album, specialmente in due tracce. La prima parte in effetti, con le tre canzoni in esse contenute, la lunga “The Assembly Line of Success” e le più brevi “Mutual Smiles” e “Perspectives”, presentano caratteristiche simili, con atmosfere psichedeliche e sinfoniche, un incedere talvolta zoppicante o comunque non molto fluido, e ricorrenti, ma comunque non invasivi, accenni mediorientali.
Le due tracce consecutive “The Joker” e “Playground Bully”, come si diceva, sono quelle a maggior contenuto di follia e di ritmiche frenetiche; sicuramente più apprezzabile la prima, bisogna dire, con i suoi equilibrismi, questa volta ben… equilibrati.
La conclusiva title-track, infine, coniuga le follie ed i ritmi spezzati a chiare affinità canterburyane, non rinunciando comunque a sonorità psichedeliche.
A dispetto dell’inesperienza che inficia un po’ il risultato, la costruzione dei brani è avvincente e sicuramente apprezzabile; il gruppo pare avere molte idee interessanti e forse la frenesia di mostrarcele tutte ha giocato un brutto scherzo. A conti fatti questo dischetto (in edizione limitata, se non volete ricorrere alla versione in digitale) è piacevole; la band mostra di avere le capacità per una prova successiva in cui, se riuscirà a smussare le asperità dell’inesperienza, potrà senz’altro progredire in modo sensibile.



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Alberto Nucci

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