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HOOFFOOT The lights in the aisle will guide you Paura Di Niente Records 2019 SVE

In 4 anni per la band di Malmö sono cambiate alcune cose; innanzi tutto mancano Mikael Ödesjö (chitarra) e Ola Eriksson (tastiere) della line-up che nel 2015 registrò l’apprezzatissimo album d’esordio; gli altri membri fondatori (Bengt Wahlgren alle tastiere, Pär Hallgren al basso e Jacob Hamilton alla batteria, Joakim Jönsson alla chitarra), oltre agli ospiti Ida Karlsson (sax) e Gustaf Sörnmo (tromba), sono ancora tutti lì. Assieme a loro ci sono nuovi ospiti che offrono i loro contributi al violino, trombone e percussioni.
Ricorderete l’esordio degli Hooffoot era costituito da due sole lunghissime tracce che riempivano per intero l’iniziale unica stampa su vinile dell’album; in questa seconda prova, realizzata fin da subito in CD, le tracce sono 4, disposte simmetricamente in modo da avere in testa e in coda quelle di durata più prolungata (13 e 14 minuti) e al centro le due più contenute di soli 8 e 9 minuti. Alla fine la durata di quest’album supera di un bel po’ gli scarni 34 minuti del comunque ottimo (vale la pena ripeterlo) primo LP.
Due parole vanno anche spese sull’artwork dello scarno digipack; Wahlgren ha scovato un dipinto risalente agli anni ’70 raffigurante la via accanto alla sua casa e decide di utilizzarlo per la copertina, impegnandosi altresì a voler ricreare la scena del dipinto stesso, addirittura recuperando la stessa auto che si vede lì ritratta. Purtroppo l’automobile, narra la band, è ancora esistente ma non più marciante ma il proprietario ne aveva una esattamente uguale che è stata fornita all’uopo e che potete vedere immortalata quindi nella copertina interna.
Le forti influenze del Progg svedese degli anni ’70 e del jazz-rock sono ancora ben presenti, mentre pare leggermente scemata quella che rimandava al Prog italiano. Le composizioni hanno un carattere in effetti maggiormente sbilanciato sul jazz e su atmosfere space e psichedeliche (ricordiamo anche che due dei fondatori provengono dagli Øresund Space Collective), sfumando molte sonorità più rock (e la perdita di uno dei due chitarristi può aver influito su questo). Egba, Soft Machine e Elephant9 si diceva a suo tempo, parlando delle influenze, e lì ci siamo ancora, ma anche un po’ di Fläsket Brinner e di Perigeo, unico nome nostrano che mi sento di scomodare questa volta.
Ovviamente parliamo ancora di musica strumentale, registrata in analogico e (in gran parte) in presa diretta. La narrazione musicale viene maggiormente affidata, di volta in volta, dalla chitarra e dal piano elettrico; gli ospiti ricordati all’inizio, lungi da ricoprire un ruolo secondario, occasionalmente salgono addirittura alla ribalta, conquistando un ruolo di primo piano, con assoli o intrecci strumentali infuocati (tipo il violino nella traccia iniziale o la tromba nella conclusiva). Le due tracce centrali sono quelle con le maggiori influenze jazz, forse anche le meno brillanti dal punto di vista ritmico, specie se raffrontate allo scoppiettante avvio della title-track. Belle partiture multicolori si susseguono comunque in modo abbastanza dinamico, con tenui influenze latine per quanto riguarda le ritmiche. L’ultima traccia, la più lunga delle quattro, è notevole, inquietante, dalle caratteristiche cinematiche e caratterizzata da una tromba quasi parlante che alterna le sue evoluzioni con l’onnipresente Rhodes.
Un altro album che colpisce dritto al cuore coloro che amano le sonorità che ci riportano al Progg svedese di tanto tempo fa; il gruppo pare aver guadagnato in convinzione dei propri mezzi e, viste le burrascose circostanze che hanno accompagnato i suoi primi passi, è positivo che sia giunto a questo bel secondo album, sperando di non dover attendere altri quattro anni per un nuovo capitolo.



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Alberto Nucci

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