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GAVIN HARRISON / ANTOINE FAFARD Chemical reactions Harmonic Heresy 2020 UK/CAN

Album di questo genere, dai quali di solito non mi sento particolarmente attratto, rischiano di passare sottotraccia, nonostante questo sia il frutto della collaborazione di due artisti piuttosto conosciuti nel nostro piccolo mondo Prog. Del batterista Gavin Harrison ormai non c’è bisogno di molte presentazioni, potendo egli vantare un novero di partecipazioni e collaborazioni tra le quali quelle con Porcupine Tree e King Crimson sono sicuramente le più note e prestigiose. Antoine Fafard, di professione bassista, è sicuramente un po’ meno conosciuto ma anch’egli ormai naviga in questo mare da diversi anni, prima con gli Spaced Out e poi con diversi album solistici e collaborazioni varie (tra le quali quelle coi Mystery).
A quest’album in cui i due hanno deciso di unire le forze e le rispettive creatività viene data una chiara impronta di base jazz-rock sulla quale però si innestano sonorità cameristiche e addirittura sinfoniche, grazie alla collaborazione con la Janáček Philharmonic Orchestra di Ostrava (Repubblica Ceca), come un laboratorio chimico in cui vengono provate diverse misture, aggiungendo questo o quell’elemento; il titolo scelto per l’album sembra che voglia suggerire proprio questo…
Inutile dire che l’intero album è strumentale e fin dalle sue prime battute riesce inesorabilmente a catturare la nostra attenzione. La presenza, non semplicemente coreografica, degli archi, suonati da Jonathan Gerstner e Maria Grig (giovane violinista russa con curriculum già piuttosto importante e con alcune partecipazioni ad album rock e metal), e della marimba, accarezzata da Harrison stesso, dona alle tracce un sapore decisamente particolare. La base melodica su cui si muove la musica è fornita proprio dagli archi, violino in primis, che rappresentano i protagonisti di queste tracce; i due titolari ronzano coi loro rispettivi strumenti attorno a queste linee melodiche, producendosi in virtuosismi che riescono a non essere fini a se stessi, quasi volessero mettersi in mostra a turno agli occhi della bella violinista la quale, imperterrita, prosegue invece per la sua strada. E’ singolare quindi ascoltare queste linee di violino, viola e violoncello, abbastanza accattivanti ancorché non esattamente melodiche e lineari, contornate da ritmiche complesse di batteria e brevi (ma intensi) excursus di basso, condite di tanto in tanto dagli umori speziati della marimba.
Le prime cinque tracce sono piuttosto omogenee e presentano la stessa line-up, anche se la lunga “Proto Mundi” offre un’alternanza di ritmiche sincopate su melodie complesse e una maggior orchestrazione degli archi. La successiva “Singular Quartz” vede al violino (acustico ed elettrico) niente meno che Jerry Goodman, autore di una prova virtuosistica di spessore, affiancato dalla violoncellista Avigail Arad e da Reinaldo Ocando al vibrafono e alla marimba. Un brano dai toni decisamente più oscuri dei precedenti.
Negli ultimi due brani fa il suo ingresso in scena l’orchestra, come anticipato, ed il risultato è a tratti addirittura esaltante, con i nostri due protagonisti che si inseriscono egregiamente tra i ranghi dell’ensemble classico che, per parte sua, ne asseconda gli estri virtuosistici. La provenienza geografica dell’orchestra non può non riportarci alla mente l’analogo esperimento musicale dei Modry Efekt di 50 anni prima, pur con le dovute differenze stilistiche (e storiche). La title track conclusiva rappresenta il miglior epilogo possibile per un album di notevole spessore artistico, dall’intensità quasi palpabile ma peraltro decisamente godibile nell’ascolto.



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Alberto Nucci

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