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IT BITES Tall ships Inside Out 2008 UK

Negli ultimi anni il prog ci ha abituati a battute tipo: “A volte ritornano”. In effetti, ormai, le reunion sono sempre più all’ordine del giorno. Gli It Bites, per chi volesse una rinfrescata di memoria, si formarono nel 1982 attorno al chitarrista e vocalist Francis Dunnery, dopo pochi lavori Dunnery lasciò la band e fu reclutato John Mitchell degli Arena ed è proprio quest’ultimo, assieme a John Beck e Bob Dalton, a far rifiorire il progetto, a cui si è unito, per il tour, il bassista Lee Pomery, per la realizzazione di questo nuovo lavoro. C’è da sottolineare che anche “Once Around The World”, a mio parere il loro miglior lavoro del 1988, non si presentò come una mastodontica opera prog, ma il loro sound fu – semmai – più orientato al prog meno strutturato e meno complesso e quindi più vicino alla forma di canzone, seppur dalle indubbie e interessanti valenze, soprattutto melodiche. La band ebbe il crack definitivo nel 1991 e, a mo’ di epitaffio, uscì il live "Thank You And Goodnight". Orbene, “Tall Ships” pare riprendere il discorso esattamente dove fu interrotto, senza sconvolgimenti di stile, senza virate o clamorose cadute di qualità. Gli It Bites odierni non valgono quanto il quartetto degli ’80, ma hanno saputo produrre un disco interessante, semplice e accattivante nelle linee melodiche e ritmiche, di buon articolazione nelle parti strumentali, soprattutto tastieristiche. Degli undici brani solo due superano la lunghezza tipica della canzone prog e quindi quasi tutti si assestano sui 4/5 minuti. Un dato che di per sé potrebbe essere significativo, ma che sappiamo bene non sempre esserlo. Pur essendo in ambito più “leggero”, spesso con tendenze pop-prog-AOR, ogni brano ha i suoi momenti interessanti, vuoi per l’aspetto melodico, mai banale o scontato, vuoi gli sviluppi vari e mai stancanti, vuoi per le qualità tecniche della band, che ritengo indiscutibilmente valide. Tra i brani da citare ovvio i due più lunghi “The Wind That Shakes The Barley” e “This Is England”, decisamente più prog in senso largo, ben strutturati, dotati di bei cambi, atmosfere ricche e ricercate e che, come una volta, riportano a sapori di Rush, Marillion e Genesis. Ovviamente tutto questo non basta a cingerlo di allori: non siamo all’ascolto di una pietra miliare e questo ritorno non è da considerarsi tra i botti di fine anno, semplicemente un disco piacevole, divertente e rilassante, ci si può accontentare e dargli la sufficienza piena.

 

Roberto Vanali

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