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I WILL KILL CHITA (IWKC) Urban Fears R.A.I.G. 2012 (2021 Addicted Label) RUS

IWKC è l’acronimo per I Will Kill Chita, una band russa attiva dal 2008 e che abbiamo già seguito per alcune delle sue pubblicazioni discografiche. Cogliamo l’occasione per riparlarne grazie alla ristampa del primo full-length, intitolato “Urban fears” e uscito nel 2012. Il disco era una sorta di concept dedicato alle periferie industriali di Mosca e fu registrato proprio in un edificio abbandonato in una di queste zone. Nel cd, inoltre, sono presenti tre bonus tracks, che altro non sono che i brani contenuti nel vero debutto della band, “Best days”, EP datato 2010. Nei loro esordi gli IWKC hanno puntato su una musica interamente strumentale, in cui post-rock, prog, echi di Pink Floyd e influenze classiche si intrecciano e vanno di pari passo creando un mood altamente malinconico.
Il disco si apre con il brano “Lost”, un post rock ritmato e vagamente classicheggiante, che fa emergere subito la particolarità della presenza del violoncello e del violino e che va avanti con un incedere affascinante, fino al finale più atmosferico, misterioso e ricco di effetti sonori. Si vira su un versante dai connotati floydiani con “Fear of suburbs” e “Waiting for the suburbia”, che archi e tastiere colorano con sonorità sinfoniche. Più ariosa “Red sunset”, quasi dieci minuti sognanti e ipnotici, che nella seconda metà si fanno invece più nervosi. La capacità degli IWKC di creare scenari sonori suadenti è confermata da “Those who see the light”, in cui emerge il loro lato più post rock, con tempi cadenzati. Ancora atmosfere oniriche all’inizio di “Endless odyssey”, che poi cedono il passo a sensazioni più inquiete, dettate da ritmi marziali ed un crescendo maestoso. Le tre bonus tracks finali non fanno altro che confermare l’indirizzo stilistico raggiunto in quegli anni dalla band (che subirà poi qualche variazione nel corso del tempo) e che si integra alla perfezione con le tracce di “Urban fears”, anche se si avverte qualche passaggio un po’ più sanguigno.
Un piccolo gioiello da riscoprire (se non proprio scoprire), soprattutto per chi ama quei gruppi che puntano su composizioni strumentali e suggestive.



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Peppe Di Spirito

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