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JACK DUPON Démon hardi Transit Music Group/Musea 2011 FRA

Jack Dupon non è una persona in carne ed ossa ma l’unione di quattro musicisti eccentrici e anche un po’ svitati e proprio per questo, se un simile personaggio esistesse davvero, sarebbe sicuramente un individuo bizzarro e schizofrenico. Jack parla soprattutto attraverso la voce del bassista Arnaud M’Doihoma ma delle sue azioni e delle sue avventure (giunte con questo nuovo album al loro terzo capitolo) sono responsabili anche Gregory Pozzoli (chitarra e voce), Philippe Prebert (chitarra e voce) e Thomas Larsen (batteria e voce). Jack Dupon è davvero un tipo lunatico, bizzarro e strampalato e la sua musica è, alla stessa maniera, qualcosa di difficilmente inquadrabile. In passato sono stati fatti vari tentativi per definirla ma nessuno, a dire il vero, ci è riuscito perfettamente. Diciamo che si tratta di qualcosa di schizoide, fatta di suoni spigolosi che finiscono prima o poi con l’annodarsi, in cui prevale un istinto live ma che nonostante tutto non appare assolutamente come un ammasso caotico e disorganizzato. Sono stati fatti alcuni nomi, come King Crimson, Etron Fou Leloublan e persino Gong e Primus. Tutto questo mi può andare bene ma c’è un altro elemento non trascurabile: la voce. Jack Dupon ce l’ha e la usa a dovere, in maniera decisamente teatrale. In un certo senso mi ha fatto venire in mente gli Ange ma in una versione malata e conturbante. Il canto poi entra nel ritmo dei pezzi e fa parte della musica stessa, avvinghiandosi ad essa in un ammasso indissolubile. Jack Dupon è una creatura viva in un certo senso: è come se si fosse creato una gabbia con i propri stessi suoni e all’interno di questa si agitasse cercando di divincolarsi. Lo sentirete smaniare, insinuare strani inviti e vi sembrerà quasi che cerchi di ammaliarvi o implorarvi di farlo uscire ma voi non cederete perché alla fine realizzerete che è piacevole sentirsi ossessionati da questo demone (ardito). Una specie di malato umorismo lo porta ad essere persino spiritoso nella scelta di certe melodie, così, mentre in un primo momento potrà apparirvi persino brutale, da un secondo all’altro saprà allettarvi con qualche strana stravaganza da circo. Con la chitarra di “Sombre Traffic” sembra quasi picchiettarci sulla spalla invitandoci ad andargli dietro e, di lì in poi, con quella musica saltellante che potrebbe essere quella del pifferaio magico, saremmo effettivamente portati a seguirlo, vinti da chissà quale sortilegio… ma ci sarà da fidarsi di questa strana psichedelia che aleggia qui, in cui si vede poco fumo ma si percepisce bene l’effetto di chissà quali ingredienti eccitanti? Altre volte ritmi spezzati e conturbanti sembrano mandarti in frantumi il cervello, come in “Le château de l’éléphant” con le sue carnevalate scomposte e persino riferimenti nel testo alle teiere volanti… che voglia dare la colpa di tutto ciò ai Gong? Se qualche volta, come in “Cravate” o nella conclusiva “Oppression”, sembra giungere la calma, non c’è assolutamente da fidarsi perché presto lo spirito ribelle di Jack Dupon in qualche modo salta fuori. Come fare a tenerlo a freno? Io vi consiglio di tenerlo ben chiuso a chiave nel lettore CD e di ascoltarlo con cautela solo dalle casse. Godetevi la sua follia ma state attenti: potrebbe piacervi anche troppo.


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Jessica Attene

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