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KINZOKUEBISU Hakootoko Vital Records/Poseidon 2003 JAP

Non apporta grosse novità ma al tempo stesso non risulta così malvagio questo CD concepito dal combo giapponese che s'è scelto il quasi impronunciabile monicker Kinzokuebisu. Il quartetto dagli occhi a mandorla è dedito a un sound prettamente occidentale con evidenti richiami agli anni '70 sia in termini di timbrica che di modalità compositive, con particolare predilezione per atmosfere epiche e solenni. La prima tranche del disco svela architetture genesisiane alternate con ficcanti passaggi hard prog; notevole il mellotron, molto meno le parti cantate (in giapponese). Siamo alle solite: per noi europei certe cadenze linguistiche sono ardue da sopportare, specie se abbinate alle ineffabili impostazioni dei vocalists levantini. Qui si alternano in tale ruolo un uomo e una donna, e a onor del vero nessuno dei due è particolarmente stridulo; tuttavia il primo, pur provando ad essere grintoso, non raggiunge la sufficienza, mentre la seconda convince ancor meno. Il difetto è giocoforza amplificato laddove l'impianto vocale è preponderante rispetto a quello strumentale e lavora in chiave melodica, vedi l'incerta "Karabako (part I)"; meglio, allora, la sperimentazione estrema di "Kyouki-eno-bolero", con riverberazioni space del basso e dissonanze pianistiche al limite di un'intrigante cacofonia, o ancora i lugubri paesaggi landberkiani - via mellotron - di "Karabako (part II)", dove troviamo un un bel basso poderoso in stile Maschera di Cera cui si accompagnano le evoluzioni jazzy del pianoforte e un pregevole assolo della stentorea chitarra elettrica. La bontà di questa porzione centrale del CD raggiunge il suo apice nei 9' di "Bannen": glissando sui cantati, purtroppo quasi ridicoli, colpisce il decadente riff per organo e basso (molto MdC), inframmezzato da rumori di risacche marine (di che parleranno i testi?); successivamente intervengono un mellotron quantomai dark e il flauto, mentre la seconda parte si distende più 'carica' e imperiosa. Brume nordiche pure in "Douke-no-hana (part I)", con probanti aperture sinfonico-romantiche, mentre "Misshiri" sfiora il pomp rock dei Kansas, shakerato col bombastic sound dei Mastermind. Ben lungi dall'essere un capolavoro, il disco rivela dunque discrete qualità che in futuro potranno essere meglio sfruttate se i Kinzokuebisu decideranno di proseguire come band solo strumentale...

 

Francesco Fabbri

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