Questo gruppo rappresenta una nuova generazione di musicisti che continuano a percorrere il sentiero musicale già tracciato da una prima versione della band che pubblicò, sotto il nome Kinzoku-Ebisu, un unico album nel 2002, intitolato “Hako Otoko”. Il nuovo album è decisamente corto e nel complesso poco convincente, nonostante alcune discrete intuizioni che a sprazzi lasciano ben sperare. Sono solo tre le tracce, per un totale di appena 32 minuti e più della metà della lunghezza viene assorbita dal pezzo di apertura, la title track. Si tratta del pezzo più interessante, giocato su suoni spigolosi e dissonanti, di chiara ispirazione Crimsoniana, dotati di un approccio sinfonico piuttosto oscuro ed ostico. A chiaro contrasto con la musica granitica, si staglia la voce di una cantante dal timbro acuto e dalla voce fragile che intona una sorta di lamentevole nenia. Si cambia registro con le successive tracce, la prima, di ispirazione hard rock, con riff di chitarra molto energici e sporchi, cantata questa volta da una voce maschile decisamente sgraziata. La traccia di chiusura sconfina addirittura nel metal thrash, con riff di chitarra pesanti e grezzi e la solita voce maschile che a tratti canticchia in maniera demenziale. Qualche squarcio sinfonico, distorto e malato, con tanto di sampler di Mellotron, emerge anche in questo inferno, senza comunque risollevare le sorti del brano che si chiude con una serie di vocettine sbeffeggianti e lamenti vari di cui mi sfugge il senso artistico (anche perché canticchiano in giapponese). Scordandosi degli ultimi due brani, decisamente di cattivo gusto e a tratti volutamente cacofonici, come accennato all’inizio, le idee migliori si concentrano nella traccia di apertura: ma ci sarebbe da lavorarci sopra a fondo per creare qualcosa di veramente valido. Un album folle, stravagante se vogliamo, ma in fin dei conti insignificante.