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VICTOR PERAINO'S KINGDOM COME No man's land Saint Thomas Records 1975 (2010 Black Widow) USA

E’ facile, fin troppo. Prendi un disco splendido, che per alcuni casi strani sia rimasto sconosciuto ai più e lo ristampi, con la sua bella copertina originale, un po’ ripulito nei suoni e infilato in un moderno digipak e il gioco è fatto. Scherzi a parte, non è mia minima intenzione denigrare o ironizzare sul lavoro di riscoperta operato dalla Black Widow con una serie di ristampe di lavori progressive del passato e di notevole fattura, anzi.
In questo caso parliamo del grandissimo tastierista americano Victor Peraino. La sua storia ci dice che partì sconosciuto dagli States alla volta dell’Inghilterra dove si unì al già avviato gruppo dei Kingdom Come di Arthur Brown per la registrazione di “Journey” del 1973. Un po’ scornato dal carattere dittatoriale del group leader e, successivamente, dallo sfaldamento della band stessa, Peraino tornò in America e decise, a mo’ di rimborso spese, di tenersi il nome dei Kingdom Come. Giusto il tempo di mettere su una band, provare una serie di brani nuovi e passare all’incisione. Nel 1975 uscì il disco. Un lavoro piuttosto eterogeneo con brani di grande forza progressiva ed altri che la miscelavano con tendenze di altra provenienza come l’hard rock e l’AOR e, pur predominando le tastiere e la voce di Peraino, non siamo di fronte ad una sbrodolata dittatoriale e i suoni sono molto equilibrati.
Agli otto brani originali si sono aggiunti i quattro successivi e apparsi su un EP uscito nel 1981 e questa non l’ho trovata una grande idea: troppa è la differenza di intenti e di risultato tra i due gruppi di brani e l’orecchiabilità scontata, danzereccia e pacchiana del secondo si scontra pesantemente alla tesa drammaticità del primo.
Per i brani storici val la pena sottolineare la poderosa e movimentata “Empires Of Steel” un hard prog dalle tinte saltuariamente tulliane, con un grande uso di flauto (Jon Marc Laflotte) e ottime parti di chitarra (David Christian) e dove salta fuori la forte e decisa voce di Vic. Molto interessante l’intreccio di “Lady Of The Morning” che scorre tra fiumi di mellotron, atmosfere trasognate, echi crimsoniani e un finale ricco e trascinante per un brano che sarà – molto, molto tempo dopo – grande fonte di riferimento per gruppi recenti come i Black Bonzo, che ne scimmiotteranno anche il titolo. Particolari e maggiormente sperimentali sono la breve “Tru”, dai temi e dai suoni nipponici e “Graden Of Death”, una sorta di elettronica cosmica applicata ai Deep Purple. Mentre “Run Through Your Life” e “At Last A Crew” virano più sull’aspetto sinfonico, di stampo Yes la prima (specie nell’utilizzo del basso da parte di Paul Rogerson) e di stampo prog italico la seconda.
Già si è accennato ai quattro brani aggiunti. Non che ci sia da dire molto, se non ribadire la loro estraneità al lavoro principale, con ritmiche quasi disco music e proprio bruttini nella composizione. Per contro il brano che dava il titolo all’EP, “We’re Next” possiede un ottimo assolo di synth, ma tutto finisce lì.
L’operazione di riscoperta è quindi meritevole, il disco è sempre stato tra i più ricercati e consigliati per gli amanti del mellotron, che qui fa veramente un gran parte. E, consigliato, lo è sempre.



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Roberto Vanali

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