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KORMORÁN A székelyek szentje, Etűdök Kőrösi Csoma Sándor emlékére Periferic Records 2005 UNG

Districarsi attraverso la lunghissima discografia di questa band č davvero un’impresa e non tutte le cose che i Kormorán hanno fatto sono sempre meritevoli, diciamolo pure. Ma con un carniere di 89 album, dal 1988 al 2010, fra produzioni in studio, live e progetti collaterali, č naturale che possiamo trovare di tutto, anche quello che non ci piace. Fra le cose piů affascinanti e meritevoli di questo storico gruppo prog-rock-folk ungherese vi segnalo quest’opera in particolare, davvero troppo bella per poterla ignorare. Si tratta di un album interamente strumentale, dedicato alla memoria di Sándor Kőrösi Csoma, grande filologo e orientalista ungherese, nato in Transilvania nel 1784, autore del primo dizionario Tibetano-Inglese.
L’opera č di grande respiro e contiene melodie davvero incantevoli che fondono tradizioni musicali diverse in una visione unitaria e fantastica, con belle variazioni e riprese dei temi musicali piů belli e di impatto e fughe che si alternano ad arie sognanti. Vi sono ampi riferimenti alla musica classica, come nella migliore tradizione Prog ungherese, arricchiti da tanti elementi folk che rimandano sia al paese di origine della band che all’oriente, attraverso allusioni vaghe e delicate che donano a queste composizioni un alone mistico e anche di avventura. Sicuramente l’immagine dell’Himalaya č quella che riesce ad incarnare meglio le sensazioni evocate da questa musica affascinante e descrittiva. L’assenza di parti cantate, che si riducono a vocalizzi eterei che si intrecciano di tanto in tanto alla voce degli strumenti, lasciano proprio immaginare l’assenza dell’uomo e la spiritualitŕ di luoghi dove č la natura sacra ed inviolata a prevalere sull’individuo. La musica dal canto suo č molto orchestrale e possiede un sound scintillante e moderno. Molto belli sono in particolare gli inserti di flauto e violino ma soprattutto quelli di ghironda e cornamusa, strumenti antichi che si mescolano a quelli elettrici in maniera incantevole creando suggestioni senza tempo. Ascoltate per esempio “Az örökkévalóság ösvényén” (senza provare a pronunciarlo perň) con i suoi complessi impasti strumentali che intessono una robusta e allegra cavalcata. Per darvi un’idea piů concreta di quello di cui parliamo potrei chiedervi di immaginare i Camel, mescolati a Iona ed After Crying, e devo dire che l’insieme sonoro che ne deriva appare abbastanza inedito ed originale.
Fra i momenti piů belli segnalo “A phouktáli kolostorban”, un’aria delicata dal sapore orientaleggiante, con flauto, violino e tastiere vaporose e poi la splendida e ritmata “Zangla Kapuján”, con le sue allegre contaminazioni celtiche, i suoi flauti speziati, le belle orchestrazioni e gli strumenti elettrici che sostengono il sound. Molto bella č anche la barocca traccia di chiusura che suggella un album spettacolare, in cui prevalgono le situazioni orchestrali rispetto a quelle elettriche, ricco di tanti riferimenti folk inseriti perň in un contesto moderno e vitale


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Jessica Attene

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