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KEKAL 8 Whirlwind Records 2010 INDN

Questo disco è un enorme minestrone che facilmente potrà risultare indigesto a molti, a meno che non ci sia da parte vostra un minimo interesse verso l’elettronica, quella attuale e contemporanea, però, quindi fortunatamente, per una volta tanto, niente revival da Kosmische Musik o sonorità anni settanta. Inoltre i Kekal, oltre che essere indonesiani, sono (anzi, erano) una band di metal estremo con almeno una decina d’anni di attività: partita come una sorta di black metal band “progressive” ed assai eclettica in stile Arcturus, con il tempo i Kekal hanno più aperto la propria sfera musicale alla musica elettronica, in un certo senso seguendo l’esempio di Ulver, Solefald, Red Harvest ecc... fino ad arrivare agli ultimi album in cui le tendenze più “indie” ed electro hanno avuto quasi il sopravvento sulla componente metal, specialmente per quest’ultimo “8”, l’ottavo (appunto) disco dei Kekal. “8” è un bel lavaggio del cervello post-moderno in cui viene ben espresse tutto il caos tecnologico e il degrado che può scaturire dalle odierne megalopoli. L’inizio del cd è abbastanza fuorviante nella sua furia math-brutal alla Meshuggah-Gorguts, infatti si sviluppa e devia immediatamente in un brano melodico in sintonia con le tendenze più commerciali dell’indie americano (roba non troppo lontana dai Linkin Park per intenderci) per poi brutalizzare il tutto con strani vocalizzi, dissonanze poco accomodanti, martellanti intrecci industrial-metal fra Godflesh e Skinny Puppy ed un sentore di apocalisse imminente. Pezzi come “Heartache Memorial” o “Gestalt Principles of Matter Perception” schizzano in mille direzioni diverse, a tratti sembra di ascoltare i Rush più recenti (una delle influenze dei Kekal tra l’altro) frullati insieme agli Autechre o i Massive Attack, altrove l’impressione è di ascoltare dei Radiohead più stimolanti e meno soporiferi del solito; come in un incubo ipertecnologico, si incontrano i King Crimson che vanno a sbattere a testa bassa con gli estremismi power electronics alla Merzbow e Controlled Bleeding, oppure i Maudlin Of The Well che fanno il verso ai Pan Sonic. Il bello di questo disco è che ha una sua struttura ben precisa, quasi nulla sembra lasciato al caso, l’impressione infatti è quella di un’opera scaturita da un gruppo che ha una sua particolare identità ed una consolidata esperienza, non è infatti un caso che i Kekal siano stati uno dei primi gruppi metal indonesiani ad organizzare concerti in Europa... A parte qualche ingenuità nei momenti più melodici o gratuitamente ammiccanti (in brani come “Tabula Rasa”), i Kekal danno il proprio meglio nelle fasi più brutali e sperimentali, fino a toccare vertici atmosferici di non indifferente potenza ed “alien-azione”. Peccato che al momeno pare che per ragioni personali i Kekal siano sul punto di sciogliersi o comunque in stato di “ibernazione” volontaria... Staremo a vedere, intanto per chi ha voglia di un’esperienza sonora più estrema e diversa del solito “8” è l’ascolto ideale


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Giovanni Carta

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