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KONRAD Luce Music Force 2019 ITA

Il dato di partenza è che Arlequins recensisce dischi di progressive.
Lo sappiamo, è un dato assodato: il progressive rock, nasce e esiste grazie alla miscelazione dei generi musicali che via, via si sono susseguiti nel tempo, il rock col blues, il beat e la psichedelica, la classica, minimalismi con elettroacustica, musica concreta, jazz, cameristica, classica sinfonica, hard rock, cantautori, musica etnica, popolare, indiana e turca, klemzer, persino tango argentino, reggae e rumoristica di ogni sorta, per musiche in bilico e solo parzialmente avvicinabili al progressive, nel calderone si è aggiunto di tutto, persino new wave, heavy metal, math rock ecc. ecc.
Però non ho dubbi e l’ho già segnalato in altre recensioni: ci sono generi che puoi miscelare quanto vuoi e nel progressive non ci finirai mai. Tra questi, giusto per fare qualche esempio, disco music, hip hop, bluegrass, rockabilly, rap, techno, country, grunge, Reggaetón e potrei andare avanti a sfinimento.
Il senso di tutto questo è uno solo: non basta miscelare qualcosa per ottenere progressive, ammesso che sia veramente quello lo scopo.
Si è ovviamente capito come il disco in questione non abbia, neppure lontanamente, collegamenti o affinità con il progressive. Detto questo, che come punto di partenza potrebbe essere anche conclusivo, andiamo all’analisi del CD.
Konrad è un artista pugliese in bilico tra la musica e la recitazione, questo, riferendomi alla bio, è il suo secondo full length dopo un esordio “Carenza di logica” del 2013, ricco di (sempre dalla scheda biografica) pop, folk, reggae, dub ed elettronica.
All’ascolto, questo nuovo lavoro sembrerebbe diverso per diversi aspetti, sostanzialmente contiene folk, stile cantautoriale, musica popolare americana, bluegrass, country, grunge, pop, country western, qualche accenno alla musica indo-psichedelica, e una buona dose di armonica a bocca, lo strumento principe per allontanare il più possibile il risultato dal progressive, per me, intendiamoci.
Oddio, sia chiaro, che nessuno intenda che un disco non prog debba sempre essere brutto, anzi, ci sono, anche nella mia collezione, svariate centinaia di dischi non prog eppure bellissimi.
Mi sono dilungato troppo.
L’album “Luce” è una sorta di concept, molto intimistico e personale, l’autore definisce ogni suo testo come “una piccola parte di un pezzo della mia vita”. Lo scorrere del racconto si divide in quattordici brani alternativamente cantati in italiano e in inglese. L’autore predilige atmosfere tranquille e non ci sono brani interamente di tendenza rockeggiante, spesso, molto spesso il cantato viaggia attorno a semplici chitarre, mentre nei momenti strumentali è più frequente l’intrusione di altri strumenti. Proprio le chitarre, che fanno da padrone nel sostegno melodico della particolare voce con la “r” francese, sono divise tra Konrad stesso e Valerio Fuiano.
Nella varietà tematica si passa dalla psichedelica “Foglie sotto i passi”, forse il miglio brano dell’album sia per varietà sia per contenuti, alla pop ballad “Your Eyes” alla ninna nanna di “The man that I am”. Brani tutto sommato piacevoli nel lo scorrere pacato. Qualcosa di prettamente cantautoriale un po’ alla Bennato primissima maniera come in “Il sogno reale”. Banale nella melodia e nel risultato generale, cantilenante e pedante “Sorpresi e presi”. Un discreto tentativo di De Andrè sbattuto sugli Appalachi e arriva “La luna per te”. Tre pesanti schiaffi musicali country western bluegrass con “Four”, “Seattle” e “Still on your road” e Johnny Cash scansati.
Finiamo qui, chiudiamo la veranda sul Tennessee, riponiamo banjo, armonica, resofoni e ukulele e facciamo che il disco, per carità, non brutto o mal fatto o qualitativamente insufficiente, questo no, sia appetibile per qualcuno molto lontano dall’amar progressive.



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Roberto Vanali

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