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LOCOMOTIVE |
We are everything you see |
EMI |
1970 (Eclectic Discs 2003) |
UK |
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Per parlare dei Locomotive e del loro unico album occorrerebbe forse richiamare alla memoria la storia dell’intricatissima scena musicale di Birmingham di fine sixties, legata a doppio filo con gli ambienti jazz e blues e palesemente influenzata dalle caratteristiche multietniche della regione.
La prima incarnazione del gruppo vede la luce nel 1965 come jazz-band per opera del trombettista Jim Simpson ed include nelle fila Chris Wood, che avrebbe in seguito trovato notorietà nelle fila dei Traffic. E’ solo due anni più tardi che il dotato tastierista e vocalist Norman Haines si aggregherà alla band - che nel frattempo avrà subito numerosi altri cambi di lineup – apportando elementi di ska e blue-beat (non così inusuali in una città ospitante una nutrita comunità di immigrati giamaicani) ma soprattutto il suo talento come autore ed esecutore all’organo Hammond.
Dopo il singolo “Broken heart/A message to you Rudy” a firma di Haines, il fondatore Simpson abbandonerà la nave, o meglio, ne diverrà il manager a tempo pieno; sarà proprio lui, nel suo nuovo ruolo, a scoprire band come Indian Summer, Bakerloo e soprattutto Black Sabbath.
Nel frattempo, la band prende la forma di un più canonico ensemble rock, inglobando nelle sue fila il bassista Mick Hinks ed il batterista Bob Lamb, oltre al nuovo trombettista Mick Taylor e con questa formazione pubblica il secondo singolo “Rudi’s in love” riscuotendo un discreto successo soprattutto nelle sale da ballo.
E’ a questo punto che la popolarità acquisita dal gruppo convince la EMI/Parlophone a concedere loro i prestigiosi studi di Abbey Road per la registrazione del primo album, sotto la supervisione dello stimato produttore Gus Dudgeon (che contribuirà qualche anno più tardi al successo planetario di Elton John) e con i contributi fiatistici di numerosi session-players tra cui il grande Dick Heckstall-Smith dei Colosseum.
Avendo virato però in direzione di una psichedelica progressiva - pur sempre dominata da organo e fiati vista l’assenza della chitarra – il gruppo decide di sondare le acque pubblicando un 45 giri a mo’ di apripista per l’LP, contenente il brano per cui oggi i Locomotive sono ricordati: la splendida “Mr.Armageddon”. Con il suo cantato ieratico ed i suoi versi minacciosi, il brano anticipa la vocalità teatrale di Peter Hammill, l’attrazione reciproca tra organo e basso sarà il marchio di fabbrica dei Pink Floyd dell’immediato dopo-Barrett, quelli del disco live di Ummagumma; in altre parole, Haines stava precorrendo i tempi.
La svolta intrapresa ha l’effetto di alienare alla band il sostegno di chi le si era avvicinato per via dei danzerecci ritmi ska, senza attirare troppo l’attenzione dell’altra fetta di pubblico interessata ormai ai duri suoni chitarristici della nascente scena hard-rock inglese, nonostante il sostegno dell’influente DJ John Peel. Tutto ciò e percepito dalla EMI, che decide di posporre l’uscita dell’album - già pronto agli albori del 1969, a data da destinarsi, con il vuoto riempito solo dal singolo pop “I'm Never Gonna Let You Go”, un contentino che non sortirà gli effetti sperati.
Quando finalmente l’album “We are everything you see” arriverà nei negozi, Norman Haines avrà lasciato il gruppo in preda alla disillusione per fondare i suoi Sacrifice (poi N.H.Band) ed il momento non sarà affatto propizio per una proposta che nel 1970 passerà inosservata perché presumibilmente (ironia della sorte) un po’ datata.
L’album è concepito in forma di suite, con un’orchestra a fare da raccordo tra i brani e a citarne le melodie, un po’ sulla falsariga di “Days of future passed” dei Moody Blues. Il tutto condito da un Hammond sempre protagonista ed i fiati usati come contraltare ma quasi mai in modo solistico.
Avendo già parlato del loro cavallo di battaglia, sicuramente sono da segnalare “You must be joking”, che coniuga felicemente il linguaggio proto-prog con una psichedelica dagli inaspettati risvolti soul conferiti dalla magistrale interpretazione vocale, “Now is the end” e “Nobody asked you to come” che sembrano uscite dal pentagramma dei primi VdGG, mentre “Lay me down gently” sarebbe accostabile ai Procol Harum se non fosse per il cantato non certo rassicurante come quello di Gary Brooker. La cover di “Coming down/Love song for the dead Che” degli U.S.A. di Joseph Byrd si integra alla perfezione nella scaletta dell’album e ne rappresenta uno dei momenti più alti. Le varie sezioni di una suite nascosta (“The loves of Augustus Abbey”) sono sparse nell’album e ne costituiscono probabilmente il lato più frivolo.
A seguito dell’abbandono dello sfortunato Haines (che dopo il suo ottimo “Den of Iniquity” scomparirà dalla scena professionistica), un ultimo tentativo di tenere in vita la band risulterà nell’arruolamento di John Caswell e Keith Millar, rispettivamente chitarra e tastiere ed entrambi vocalist: il singolo prodotto, “Roll over Mary”, è incluso nella curatissima ristampa CD. Sarà solo alla fine dell’anno che verrà definitivamente accantonata la gloriosa firma Locomotive: Hincks e Lamb si ritroveranno assieme nelle fila dei Tea & Symphony di “Jo Sago” e nel 1971 si uniranno agli ex compagni Caswell e Millar nel progetto “The dog that bit people”.
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Mauro Ranchicchio
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