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LONE EMPTY BED |
Lone empty bed |
Vital Records/Poseidon |
2006 |
JAP |
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Jazz progressive, sicuramente. Tanti fiati in primo piano e, un po’ defilati, una chitarra acida (quasi una tromba con la sordina) e un piano che vibra sulle ritmiche. Insieme tentano di strappare qualche momento primario. Chiare le ispirazioni agli esercizi più Jazz e free di Zappa, Ian Carr e John Surman, giocando molto su atmosfere urbane piuttosto aride, sfruttando secchi ritmi sincopati derivati dai Weather Report di I Sing The Body Electric. I Primi tre brani in studio, i secondi tre dal vivo.
Un disco che basa la sua dinamica sul forte sapore della dissonanza, a tratti al limite della stonatura. Partiture magari non particolarmente complesse, ma strascinate sull’affaticamento dell’ascolto: esercizio estremamente pericoloso se non si hanno le capacità inventive, la classe e il sapore del “giusto incompiuto” di un Abercrombie. Ci sono poi momenti più dinamici tendenti ad un rock jazzato, acido e cantinesco, sinceramente non brutti, ma poco interessanti e soprattutto molto distanti dal resto del lavoro. Discorso non dissimile per i brani live che, se vogliamo, sono anche penalizzati da una registrazione non troppo brillante e da una esecuzione che lascia intravedere buone capacità strumentali, ma poca classe nel gestirla. Grazie ad un sound più determinato e un organo che riesce ad insinuarsi tra gli strappi dei fiati, si eleva “The Martian Chronicles”, sicuramente il migliore dell’incisione. In questo brano una chitarra, nascostissima, ripete all’infinito i riffs frippiani di Larks’ Tongues.
Sufficienza tirata, elargita per la tenerissima età dei suonatori e per il tentativo, seppur troppo pretenzioso.
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Roberto Vanali
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