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LOST WORLD |
Awakening of the elements |
Musea |
2006 |
RUS |
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Non tutti ricorderanno questo gruppo moscovita, che realizzò nel 2003 un album per la Boheme Music intitolato "Trajectories", ed è un vero peccato che gli appassionati di prog si siano dimenticati di loro: questo CD, seppure abbastanza ostico, rappresentava una valida proposta musicale, varia nello stile e piuttosto originale. La band si formò nel 1990 grazie al sodalizio di tre studenti di conservatorio, Alexander Akimov (tastiere), Vasily Solovyov (flauto e chitarra) e Andrei Didorenko (basso, chitarra, violino elettrico) che si erano proposti di comporre musica sperimentale ed insolita, unendo elementi avanguardistici alla musica classica. A questo nucleo venne successivamente ad aggiungersi un cantante, Alexei Rybakov, e la band realizzò, dal 1996 al 2001, ben sette album nella tiratura di 30 copie l'uno, da distribuire ad amici e fan. Quello stampato dalla Boheme rappresenta in effetti la prima uscita ufficiale del gruppo, che segna anche l'abbandono del cantante, avvenuto poco dopo la pubblicazione. Al giorno d'oggi i Lost World sono ridotti al trio storico e la loro proposta musicale rimane senza dubbio valida, anche se gli spartiti si presentano semplificati e più lineari rispetto al complesso esordio. L'album è composto da dodici canzoni strumentali in stile prog fusion, con disseminati riferimenti ad autori classici, come dimostrato in maniera abbastanza esplicita da "Shostoccata", un riadattamento del quartetto per archi n. 8 di Shostakovich. Le composizioni sono abbastanza varie, ma uno degli elementi caratteristici ricorrenti è rappresentato sicuramente dal violino, agile ed elegante, che rincorre melodie classicheggianti e che spesso si ritrova a duellare con la chitarra: un esempio brillante è la bella suite in tre movimenti "States of Mind" che occupa la parte centrale del disco. Una delle tracce più graziose è senza dubbio quella di apertura, la title track, che non può fare altro che disporre positivamente l'ascoltatore verso questo CD. Vi sono bellissimi riferimenti ai Dixie Dregs, con spunti eleganti di flauto e un violino brioso alla Goodman. I suoni sono taglienti, robusti e sofisticati, ed emergono senza dubbio le qualità tecniche dei musicisti. Molto bella, anche se rappresenta un episodio abbastanza isolato nel contesto dell'album, "Infinity Street", basata su melodie acustiche di chitarra dal sapore medievaleggiante, che fonde suggestioni antiche ad uno stile moderno. L'esecuzione dei pezzi è sempre precisa e pulita, e forse può a volte trasmettere un po' di freddezza, ma la gradevolezza della musica rimane indiscutibile. Nei tratti più ostici, che comunque non sono mai al livello quasi esasperato del primo album, potrebbero venire in mente alcune trovate dei Mekong Delta, ma ad alleggerire la proposta vi sono molti riferimenti sinfonici che ammorbidiscono l'impatto della musica. Sicuramente questo nuovo CD potrà essere apprezzato da una fetta più ampia di pubblico rispetto a "Trajectories" che forse comunque rimane nel complesso superiore in quanto ad originalità, varietà e spessore artistico.
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Jessica Attene
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