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LOOKING 4 A NAME Tetragram Valery Records 2007 ITA

Se un disco ha bisogno di più ascolti per essere apprezzato può essere per vari motivi: o siamo di fronte a proposte d’avanguardia e noi non riusciamo a cogliere al volo la peculiarità delle tracce, oppure è colpa nostra che al primo ascolto l’abbiamo ascoltato male.
Si sa che di solito il primo ascolto è quello che ti rimane più impresso ed è difficile cambiare opinione. Qui non stiamo parlando d’avanguardia, RIO o free jazz, stiamo parlando dell’ennesimo gruppo prog metal che se non ti colpisce subito, difficilmente lo potrà fare in un secondo momento. Ipotesi difficile ma non impossibile, come nel caso di questi milanesi Looking 4 A Name che al primo ascolto non mi son piaciuti per niente ma che, riascoltandoli con calma, col tempo hanno acquistato parecchi punti.
Questo lavoro è un concept che, oltre un brano iniziale e tre finali (che di per sé hanno una matrice comune che ingloba il resto del lavoro), ha il suo momento migliore in quattro suite divise in quattro parti come quattro sono gli elementi: terra, acqua, aria, e fuoco.
Quello che ci propongono musicalmente non è originalissimo, diciamolo chiaramente, e anche se ci sono moltissimi punti da migliorare qualche idea buona c’è. Unire elementi prog metal a quelli di un certo prog alla Spock’s Beard e Flower Kings non riesce malissimo a questi ragazzi, tenendo presente che non stiamo né parlando del gruppo di Petrucci né di quello di Nick d'Virgilio né tantomeno del gruppo di Stolt.
Perché per apprezzare questo disco bisogna minimo ascoltarlo due volte? Perché è un diesel e ci mette un po’ per andare a pieno regime (diciamo il primo pezzo che è abbastanza banale e la prima suite che è abbastanza semplice), ma poi pian piano il motore prende spunto e anche se non con prestazioni fenomenali riesce a portarti a casa.
Parliamo allora delle cose positive di questo lavoro.
Su tutti la "Water Suite", dove ai classici elementi che abbiamo delineato prima ci sono degli interventi di pianoforte che ricordano tanto certe cose di Meat Loaf e del primo Elton John che sono deliziosi. Certi stacchi (soprattutto in "The flows") sono riuscitissimi e veramente carini.
Anche la "Air Suite", con il suo inizio pomposo e melodico, fa solleticare l’orecchio (lontanamente oltre gli Spock’s Beard e Flower Kings si possono scovare tracce di Shadow Gallery), anche se i restanti brani della suite non sono sullo stesso livello. Non brutti ma piatti, con qualche passaggio fusion per spezzare il ritmo. La "Fire Suite" è un altro buon modo per apprezzare la band; classico brano prog metal con buoni spunti melodici su cui lavorare e con molte influenze della band di Petrucci.
Finite le suite sugli elementi troviamo altri tre brani che si ricollegano al primo per chiudere il concept: la bella strumentale "War pt. 2", una ballad ("Different but equal"), un brano in classico stile prog metal ("The silence of death") abbastanza interessante e, per chiudere il tutto, "The blindes of a world".
Per essere onesti passiamo anche alle parti negative.
Primo punto: le parti vocali. Per il buon futuro del gruppo non sarebbe male che Francesco Panico si occupasse solamente delle parti di chitarra perché non gli riescono nemmeno male. Molti acuti sono forzati, troppo forzati e anche sui toni medi ci sono molte lacune da colmare.
Secondo punto: 78 minuti per un disco del genere sono troppi. Limando minimo venti minuti si sarebbe ottenuto un risultato molto migliore e gradevole per tutti, visto che almeno un'ora di musica è su buoni livelli. Magari si sarebbe snaturato il concept ma ne avrebbe guadagnato il lato musicale.
Tutto sommato il lavoro è comunque più che sufficiente grazie alla sinergia tra la chitarra di Panico e le tastiere di Larsen Premoli ("Fire Trails").
Correggendo gli errori fatti, il futuro può arridere a questo gruppo.

 

Antonio Piacentini

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