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LOBSTER NEWBERG Actress LLC 2009 USA

La vista di Phil Miller alla chitarra, visto nelle note di questo disco, mi fece sobbalzare. Bastò poca ricerca per scoprire un caso di omonimia con il canterburyano, ma ormai il gruppo mi aveva agganciato e il disco era ordinato. Senza dubbio anche la copertina così impattante giocò un buon ruolo, un’immagine che buca, insomma. Resta il fatto che a parte qualche spezzone sentito sul myspace della band, il lavoro sembrava tutto da scoprire.
La band, il cui particolare il nome deriva dal modo di cucinare l’aragosta con una salsa piccante di uova, burro e liquori, è un combo aperto con base a quartetto classico, proveniente da Chicago e con questo disco è alla seconda uscita, avendo esordito nel 2007 con “Vernal Equinox”. Vediamolo questo quartetto base, che è formato, oltre al chitarrista Miller, già segnalato, dal group leader Colin Peterik che si occupa della composizione dei brani, delle tastiere e della voce, Corey Kamerman al basso e Jamie Dull alla batteria, seguono altri otto elementi, che risultano tutti ospiti, tra flauto (parecchio presente), armonica a bocca (per fortuna solo un brano), brass section, ecc.
E, come a volte accade, scatta l’amore dal primo ascolto. E scatta per tutta una serie di ingredienti che non possono non arrivare al punto giusto dell’orecchio: voce perfetta, ritmiche complesse, ma che sanno sposarsi perfettamente anche con melodie pop e rock, flauto, tastiere vintage, buona miscela tra momenti più aggressivi e altri più dolci, cambi continui di ambientazione sonora, ottima tecnica di tutti i musicisti.
Gli undici brani del disco sono mediamente brevi, ma decisamente intrisi di estrema varietà da ricordare, ad esempio, “Stay”, una rincorsa continua di jazz e blues a braccetto, flauto, organo e stacchi quasi di hard purpleiano, in quella forma che qualcuno (non io) ama chiamare retro prog. Brano che poteva perfettamente stare sullo splendido esordio dei Black Bonzo. “Lost” con il suo groove zappiano periodo “Overnite Sensation” e la sua melodia complessa a rincorre un organo distorto che si intervalla alle note dei un piano elettrico tipicamente zappiano. Davvero bella è “Demian” scritta su ritmiche dispari comandate da un poderoso 9/8 e intrico complesso per tastiere, chitarra e melodia, con voce che ricorda un Phil Collins più aggressivo. “Illusion” è il brano più lungo e, in oltre nove minuti, offre un altro coagulo di ritmiche complesse e armonia che rimanda vagamente al southern rock, con un risultato davvero personale e di rara efficacia. La sezione centrale poliritmica è davvero notevole e sembra voler richiamare Colosseum, Caravan e Focus in un tutt’uno. Molto particolare, ma piacevole, anche il finale dei lavoro con una “Have You Ever Been Alone” che ripesca, per la parte di cantato, l’organo reggae in levare di “Meurglys III”, ma finisce inevitabilmente in un marasma poliritmico nelle parti strumentali, tra Zappa, hard rock, assolo di organo e continui ritorni alla melodia. Risultano un paio di episodi più deboli, specie “Tide Rope” rock con armonica a bocca che pur su tempo dispari non riesco proprio a farla rientrare nei miei canoni di piacere. E la breve “Wonderful” un melodico mid tempo di stampo blues piuttosto anonimo.
Questo giovanissimo quartetto ha prodotto un disco di quelli che si ascoltano sempre con piacere e ci ha fatto una sorpresa di quelle che vorremmo avere più spesso.


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Roberto Vanali

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