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LIQUID WOLF |
First light |
Samsara Records |
2012 |
FIN |
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Non sempre le idee sono chiare fin da subito ma capita invece che le buone idee vengano strada facendo, partendo da presupposti diversi rispetto al risultato finale. Così è capitato al polistrumentista Sami Sarhamaa (chitarra, basso, tastiere, batteria) che voleva un progetto musicale ispirato fondamentalmente agli Opeth e che si è ritrovato fra le mani un album profondamente diverso, anche se non privo di quel tocco di elegante oscurità che caratterizza alcune creazioni del gruppo svedese. Sami non è solo nella sua avventura ma ha al suo fianco Teijo Tikkanen, un altro multi strumentista (chitarra, basso, tastiere e voce), Matti Tikkanen Kervinen alle tastiere, Samu Wuori al basso, Sami Kuoppamäki alla batteria e Pepa Päivinen al flauto e al sax. Una line-up questa molto ben fornita con altre esperienze alle spalle e che ci fa scongiurare i classici trabocchetti in cui spesso cadono le one-man-band. Alcuni riflessi metallici si vedono e rilucono sui muri di chitarre taglienti, collocate però in punti strategici, in modo tale da non soffocare temi musicali addirittura ariosi, a volte persino di ispirazione Cameliana, dai delicati accenti fusion e resi interessanti da qualche vaga influenza di stampo nordico. Nel pezzo di apertura, “Two Wheels”, in primo piano si portano tastiere rigonfie di note e prodighe di assoli, mentre le chitarre rimangono nelle retrovie come sostegno, senza essere di intralcio all’azione musicale. Questa predominanza tastieristica si mantiene sempre, anche se sul finale sono le linee melodiche solari e quasi Cameliane appunto a prevalere in un brano strumentale che presenta equilibri ben bilanciati ed un sound fresco e moderno. La voce di Teijo entra in scena con la successiva “Lost” e la sua timbrica cupa e vellutata rappresenta quanto di meglio ci possa ricordare gli Opeth, quelli più romantici però, in questo album. I toni sono quelli di una ballad tenebrosa, solcata da flebili arpeggi di chitarra, dal piano e soprattutto dominata dal cantato. Al centro viene collocato un inserto più sostenuto che alza un po’ il pathos spezzando il brano e dando un senso di varietà, fattore questo importante specialmente se, come in questo caso, si scelgono pezzi tutti di durata medio-lunga (fra i sei e gli otto minuti per la precisione). Con “Share this Dream” le atmosfere si fanno più crepuscolari e misteriose e il cantato, ora molto romantico e sottolineato appena dalla chitarra arpeggiata, ha solo un effetto introduttivo su una lunga sequenza strumentale con parti tastieristiche lente e imponenti e chitarre tuonanti all’occorrenza ma decisamente versatili. Bello sul finale l’inserto di sax che riporta i registri su tonalità confortevoli. Il gioco è quello di ritrovare sempre un giusto equilibrio fra melodia e potenza, fra atmosfere tenebrose e aperture solari in un alternarsi variegato di sensazioni. In “The Fish, The Sea” segnalo la parte centrale con organo Hammond e Moog mentre in “Eventually, everything is dust” troviamo limpidi arpeggi Floydiani controbilanciati da sequenze hard-fusion con complessi intrecci chitarristici e le tastiere, sempre presenti, ma questa volta in secondo piano. Anche la title track offre una buona alternanza fra squarci energici e fasi in cui i ritmi rallentano e ci si rifugia in un sottobosco gotico dai riflessi misteriosi. In chiusura, simmetricamente rispetto all’incipit, torna a prevalere l’aspetto luminoso e riecco qua e là tastiere solari e rigogliose, aperture soft fusion eleganti con una chitarra pulita e scintillante che si concentra sul versante melodico e a volte intrecciata con quella acustica. Forse la sezione ritmica avrebbe potuto offrire qualcosa in più dando esempio di maggiore duttilità e versatilità. Si è preferito un approccio più diretto che comunque non penalizza mai la melodia ma che al tempo stesso appare un po’ limitante. Sicuramente poi ci sono anche altri aspetti da mettere a punto ma direi che il gruppo se l’è cavata alla fin fine più che dignitosamente riuscendo a divincolarsi dai modelli che essa stessa si era proposta all’inizio e, pregio fondamentale dell’album in questione, trovando soluzioni equilibrate e variegate e misurando la propria voglia di fare in favore di un prodotto finale non travolgente ma ben calibrato e ricco di bei paesaggi sonori. La strada sembra essere quella giusta e potrebbe portare questo gruppo ben oltre. Speriamo.
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Jessica Attene
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