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LEGEND |
Spirit |
Raven Heart |
2013 |
UK |
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“Spirit” rappresenta il quinto album in studio (a cui si aggiungono un'antologia ed un live) dei new progster britannici Legend. La pubblicazione coincide anche con il 25° anniversario della nascita del gruppo (anche se l'album d'esordio, “Light in extension”, vedrà la luce solo nel 1991). Al deus ex machina Steve Paine (tastiere) si aggiungono a completare la line-up il ritorno di Paul Thomson alle chitarre, la conferma dello storico batterista John Macklin e la new entry Beck Sian alla voce. Quest'ultima rappresenta il vero valore aggiunto della nuova incarnazione della band per le doti canore notevolissime. Il gruppo ha sempre avuto tra le proprie file una vocalist femminile (Debbie Chapman e più recentemente Kerry Parker ) e speriamo che con Beck Sian abbia trovato finalmente la figura definitiva per questo importante ruolo. “Spirit” può essere considerato anche il successore “concettuale”del precedente“Cardinal points”. Infatti, se quest'ultimo affrontava il tema dei quattro elementi (terra, aria, fuoco e acqua), il nuovo album tratta dello spirito, da molte culture considerato un vero e proprio quinto elemento. E cinque sono anche i brani confezionati questa volta da Paine e compagni. Il sound epico e sinfonico si è ulteriormente consolidato in questa nuova release ed è ben chiaro sin dall'opener “Leap of faith”. Una partenza “sparata” con tastiere magniloquenti ed una ritmica più che sostenuta a cui poco dopo va ad aggiungersi la voce della nuova cantante (non prima di altrettanto enfatici cori femminili). Un bel ritornello (dove l'estensione vocale della Sian è messa a dura prova), una chitarra spigolosa e qualche piacevole richiamo acustico confermano la buona ispirazione del gruppo in questo primo pezzo. “Wood for the trees” conferma il trend del brano precedente con in più un breve accento vintage rappresentato dal lungo “solo” di organo (o chi per lui...) di Paine. La suite “A tangled skein” è il brano più articolato di “Spirit”. L'approccio heavy è inalterato, il cantato sempre molto enfatico, i cori “pomp” si ripetono con estrema disinvoltura, i riff dell'elettrica non sono da meno. Un poco spiazzante il finale con accentuati echi mediorientali generati dai vocalizzi della Sian e dall'incedere ipnotico e quasi tribale. La commistione tra enfasi ribollente e momenti più pacati continua anche in “Crossing of the ways”. Le melodie sempre ben costruite e gli sprazzi sinfonici non mancano ovviamente, ma stavolta a difettare è quel “quid” talvolta necessario. “State of grace” ha una delicata introduzione, poi il suono molto sintetico delle tastiere torna a dominare la scena. Il sound è sempre duro e compatto anche se alleggerito dalla voce eterea e dai cori sempre piacevoli (che ricordano gli ultimi Eloy), ma forse la formula risulta alla fine un po' ripetitiva e non sempre gli interpreti riescono a sopperire alla mancanza di inventiva. Ciò non toglie che l'album sia suonato (e registrato) in modo superbo e non possiamo certo considerarlo un'occasione persa. Certo ci aspettavamo in qualche frangente almeno qualcosa in più o di diverso. Questo sì.
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Valentino Butti
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