Home
 
LIGHT FREEDOM REVIVAL Eterniverse deja vu autoprod. 2017 CAN

Si circonda di nomi di un certo spessore John Vehadaija, cantante e compositore canadese (impegnato anche alla chitarra acustica), per il primo full-length del suo progetto Light Freedom Revival. Andando a spulciare tra i credits, infatti, troviamo due musicisti molto noti nell’ambiente del progressive rock, Billy Sherwood (alla batteria, al basso, alle chitarre e alle tastiere) e Oliver Wakeman (piano e tastiere). A completare la line-up figurano il chitarrista Eric Gillette (collaboratore di Neal Morse) e Marisa Frantz alle parti vocali. L’impatto conferito dalla parte grafica di questo disco d’esordio stimola ulteriormente la curiosità, per merito di una copertina coloratissima, ricca e dall’ambientazione fantasy, opera di Ed Unitsky, disegnatore che sta acquisendo una certa fama e molto richiesto da numerosi artisti in ambito prog. Ma come sono i contenuti musicali di “Eterniverse deja vu”? Beh, ad essere del tutto sinceri, qui vengono le dolenti note. L’album, benché costruito in maniera egregia e presentato e suonato con estrema professionalità, non riesce a convincere più di tanto. Le motivazioni? E’ presto detto: un orientamento pop-rock abbastanza banale; una serie di brani poco incisivi e che sembrano troppo simili tra loro; melodie mielose all’eccesso. Le tredici tracce del cd non riescono mai a far spiccare il volo al lavoro di Vehadaija e soci. Il cantato del leader va quasi sempre in primo piano, ma anche quell’immediatezza che si prova a dare non ottiene grandi effetti. C’è un’atmosfera di costante solarità per tutta la durata dell’album (circa sessantaquattro minuti, si va un po’ troppo per le lunghe…), che può riportare alla mente i Flower Kings, ma non certo quelli delle epici cavalcate, con ampie parti strumentali. Altra pietra di paragone potrebbe essere “Open your eyes” degli Yes, ma quest’ultimo, al confronto, sembra un grande capolavoro. Arriva luce dalla musica proposta, ma gli eccessivi valori di zucchero che vengono esposti in continuazione davvero non favoriscono l’assimilazione e l’indulgenza verso una proposta che dubito presenti degli spunti di interesse per chi ama il progressive rock e le sue derivazioni sinfoniche e romantiche. Non basta disseminare qua e là qualche intrigante (ma breve) spunto solista di tastiere o di chitarra elettrica, o qualche riuscita armonia vocale per risollevare le sorti di un disco poco dinamico e prevedibile. La mano di Sherwood, impegnato insieme allo stesso Vehadija anche alla produzione e da sempre promulgatore di un certo tipo di sonorità, si avverte nella ricerca di impatto immediato, semplicità e voglia di pezzi commerciali. Ma le caratteristiche di un album che viene fatto girare nel mondo del progressive rock sono solitamente ben altre.



Bookmark and Share

 

Peppe Di Spirito

Italian
English