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LIZARD (POL) |
Half-live |
Audio Cave |
2018 |
POL |
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Mi sono perso il lavoro precedente (“Trochę Zółci, Trochę Więcej Bieli”) del 2016, ma ricordo il mio crescente e costante disappunto nell’ascolto delle uscite appena precedenti della band, culminate nel mediocre “Master & M” (2013). Dopo l’ottimo esordio del ’97 (“W Galerii Czasu”), la band aveva reso il proprio suono decisamente, e talvolta eccessivamente, spigoloso e non troppo amichevole, pur in presenza comunque di album quanto meno apprezzabili ed artisticamente non banali. Questo “Half-live” vede la conferma della formazione di “Master & M”, salvo il ritorno del drummer Mariusz Szulakowski, e sempre con la forte personalità di Damian Bydliński (voce e chitarra) a tirare le fila. Quel che cambia è l’approccio musicale, teso a recuperare il senso della melodia, pur rimanendo le sonorità della band sempre alquanto spigolose e idealmente crimsoniane. Lo stesso ruolo di Bydliński si fa un po’ meno accentratore, lasciando spazio a belle orchestrazioni strumentali, valorizzando peraltro ottimamente la composizione sulla mera prestazione chitarristica. “Half-live” è costituito da un’unica traccia di 44 minuti, struttura che, al di là della suddivisione fisica, non è nuova per la band, essendo anche altre release precedenti costituite da lunghe suite suddivise in tracce o movimenti anonimi, senza indicazioni di titoli. La musica di questa mega-traccia non è invece suddivisa in movimenti né peraltro contempla pause o interruzioni di sorta (tranne verso il termine della stessa, quando una breve sosta prelude agli ultimi minuti finali della composizione) ma fluisce ininterrotta ed organica, snodandosi a partire dal bello ed etereo assolo di violino dei secondi iniziali attraverso un susseguirsi in crescendo di atmosfere musicali che ci riporta indietro di 20 anni, a quell’album d’esordio che rimane ancora il momento migliore della band di Bielsko-Biała. Pur rimanendo ineguagliato quell’esordio, bisogna dire che questa nuova prova in studio arriva vicino a quei livelli, mostrandoci una band innanzi tutto in gran forma e senza eccessivi personalismi, riuscendo ad offrirci un album che nella sua prima metà alterna le sonorità aspre e tormentate che ormai ben conosciamo a ritmiche più sbilanciate sul jazz, con progressioni strumentali inframmezzate sporadicamente da parti cantate, ancor più apprezzabili in quanto appunto usate col contagocce. La musica è piacevolmente contorta e complessa, con temi ricorrenti, inserti brevi che ritroveremo qualche minuto dopo e una bella orchestrazione. La progressione riserva ben poche pause di riflessione e col passare dei minuti la musica inesorabilmente e progressivamente decolla. E’ un decollo non tanto dal punto di vista ritmico ma senza dubbio da quello dell’intensità; la musica via via si fa più avvincente ed emotivamente energica, coinvolgendoci in un ascolto sempre più suggestivo e coinvolgente che al termine di questi 44 minuti ci lascia indubbiamente qualcosa di positivo dentro e ci fa riflettere se davvero il primo album, come dicevo, risulti ancora il punto più alto raggiunto dalla band.
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Alberto Nucci
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