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LIGHT DAMAGE |
Numbers |
Progressive Promotion Records |
2018 |
LUX |
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Sembra quasi un paradosso quando si parla di progressive rock, ma ci sono alcuni gruppi che per provare ad attirare l’attenzione usano una formula ben precisa, senza soluzioni realmente avventurose. E chiunque voglia muoversi nell’ambito del new-prog è praticamente obbligato a seguire canoni consolidati. I lussemburghesi Light Damage, qui al loro secondo album, si allineano senza farsi problemi alla scia di quei numerosi artisti che ancora si cimentano in un sound fatto di rimandi netti ai Pink Floyd, ai Genesis e ai primi Marillion. Qua e là provano a diversificare un po’ le cose, come nell’accoppiata di apertura “Number 261”/”Bloomed”, dove schitarrate ruvide e ritmi potenti fanno sfiorare il prog-metal, oppure quando gli interventi di ospiti a strumenti più particolari, come violino, violoncello, flauto e contrabbasso e a parti vocali femminili spingono verso sonorità decisamente eleganti. Poi bastano quei delicati arpeggi con cui parte la terza traccia “From minor to sailor”, suite di quasi venti minuti, a scaldare il cuore dell’ascoltatore, che inizia a sognare ad occhi aperti le emozioni trasmesse da “Supper’s ready” e “Grendel”. Ovviamente siamo al cospetto di una composizione che non sfiora nemmeno i vertici qualitativi delle opere citate, ma non delude le aspettative e scorre bene con tutti i suoi inevitabili e classici cambi di tempo e di atmosfera, con le alternanze di timbri elettrici e acustici, con passaggi strumentali mozzafiato e sufficientemente intricati, con belle melodie ariose e con tutto ciò che un’epica pièce de resistence offre solitamente. Il grosso, a questo punto, è già dato, ma si fanno apprezzare anche altri due lunghi brani, che si avvicinano ai dieci minuti, “Little dark one” e “Phantom twin”. Il primo è caratterizzato da un romanticismo trasognato e velato di malinconia e da un crescendo di intensità che ricorda un po’ gli IQ; il secondo parte con un’atmosfera dark per poi orientarsi di nuovo verso lidi prettamente new-prog. In conclusione troviamo “Untitled”, strumentale di tre minuti, che inizia con il suono di un carillon e con dei vocii in sottofondo e che dopo un minuto si trasforma in un affascinante tassello cameristico guidato da pianoforte e archi e con un curioso recitato in spagnolo. Alla fine basta poco per attirare gli appassionati di rock sinfonico e new-prog. Ecco, quel poco i Light Damage lo garantiscono in pieno, con un disco sufficientemente grazioso.
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Peppe Di Spirito
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