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LOGOS Sadako e le mille gru di carta Andromeda Relix 2020 ITA

Chi piegherà mille gru di carta, vedrà i propri desideri esauditi”. È con la delicatezza della poesia orientale che prende man mano corpo il quarto album dei veronesi LogoS, autori di un prog classicamente sinfonico con cui avevano già saputo attirare critiche parecchio positive. La vita – soprattutto quella artistica – è formata (nel bene e nel male) da incontri con altri soggetti ed è proprio un incontro a far nascere questo concept. Il quartetto formato da Luca Zerman (voce, Hammond, sintetizzatori), Fabio Gaspari (voce, basso, chitarra, mandolino), Claudio Antolini (pianoforte, sintetizzatori) e Alessandro Perbellini (batteria) entra infatti in contatto con l’artista Marica Fasoli (autrice dei quadri riportati nel booklet interno), la quale racconta ciò che diventerà il soggetto trainante di quest’ultimo lavoro. La presenza di due tastieristi contribuisce a creare una pubblicazione in cui i sinfonismi sono assoluti protagonisti, con un incedere solenne che sembra mantenere per tutta la durata una studiata dignità, nello stile della più classica educazione nipponica. Sì, perché la (davvero triste) storia raccontata agli scaligeri dalla Fasoli è ambientata proprio in Giappone e parte precisamente dal fatidico 6 agosto 1945, giorno dello scoppio della bomba atomica sulla città di Hiroshima. In quel momento, una bambina di due anni, il cui nome era Sadako, si trovava a pochi chilometri di distanza assieme al fratello. La detonazione li fece volare via. I due bambini riescono miracolosamente a sopravvivere e Sadako cresce forte, cominciando già in tenera età ad affermarsi nell’atletica. Ma a soli undici anni, dopo essersi cimentata in una competizione sportiva, si sente male. Diagnosi implacabile: leucemia, causata dalle radiazioni subite nello scoppio di alcuni anni prima. E qui si ritorna all’incipit: una leggenda vuole che chiunque riesca a piegare mille origami con la forma di una gru, vedrà esaudito il suo desiderio. Questo perché tale arte intreccia allo stesso tempo tecnica individuale e ricerca spirituale, essendo il termine formato da Oru (piegare) e Kami; quest’ultima parola significa sia “carta” che “spirito”, quindi si parla di un’operazione ripetuta in cui – proprio come un mantra – l’universo materiale e spirituale va a mutare. La piccola Sadako, nel letto di ospedale, si mise a piegare qualsiasi tipo di carta trovasse a portata di mano; sarebbe arrivata a 644, prima di morire. Le altre gru, verranno piegate in suo onore da amici e parenti.
È in questa ottica di elevazione dai tragici eventi terreni che occorre avvicinarsi al concept in esame, fin dall’iniziale “Origami in SOL”, breve apertura quasi in stile Goblin. Segue immediatamente “Paesaggi di insonnia”, undici minuti che si rifanno – soprattutto all’inizio – al (sotto)genere hard-prog italico dei tempi che furono, a partire dal Balletto di Bronzo. Immagini di “fiumi d’amianto” e “veli color amaranto” ricreano il disastro immediatamente post-atomico, guardando poi soprattutto alle Orme (a volte stucchevoli le rime e anche l’impostazione vocale in questo caso risulta ad onor del vero debole, rispetto al contenuto musicale). Un paesaggio desolato scandito dal basso e commentato, assieme alle tastiere, dal sassofono dell’ospite Federico Zoccatelli. Quest’ultimo diventa molto più incisivo all’altezza del settimo minuto, contribuendo ad aumentare le marce. Dopo un altro passaggio vocale, il pezzo – pur mantenendo come già accennato il solito andamento – vede un’iniezione maggiore di energia grazie sempre alle evoluzioni del sax, con una chiusura ad effetto quasi in stile Uriah Heep.
“Un lieto inquietarsi” sfiora anch’essa gli undici minuti e denota per i primi due un approccio decisamente più epico, quasi da pellicola cinematografica. Dopo, la durezza delle immagini create aumenta, con qualche accostamento a band nostrane più recenti come La Coscienza di Zeno, senza dimenticare poi gli storici Museo Rosenbach, che a tratti fanno anch’essi capolino. “Il sarto” ha un testo molto poetico, nettamente migliore di quanto ascoltato nei brani immediatamente precedenti, reso finalmente al meglio grazie soprattutto alla presenza di Elisa Montaldo (Il Tempio delle Clessidre), assieme al tecnico Simone Chiampan che qui riveste il ruolo di batterista. È un pezzo che suona come una vecchia favola dal sapore quasi circense, che in sei minuti strugge di malinconia (ritorna l’accostamento a La Coscienza di Zeno) e si conclude con un incalzare tipo quello di una triste fisarmonica. Quasi un intermezzo prima della successiva “Zaini di elio”, che con i suoi dodici minuti e mezzo richiama la PFM più spensierata, nelle parti in cui Flavio Premoli assurgeva al ruolo di protagonista. Anche stavolta il testo appare ispirato, benché sempre “ermetico”, a cui seguono gli intrecci tastieristici che per certi versi potrebbero rifarsi al Banco del Mutuo Soccorso. L’incedere generale, comunque, propone una sua personalità e non si limita ai paragoni. Difatti, le partiture di organo Hammond in secondo piano contribuiscono a rafforzare le soluzioni scelte; i minuti finali suonano decisamente “eroici”, in cui sembra di volare finalmente leggeri, spensierati.
La title-track è il gran finale, espresso in una suite di ventun minuti che si apre con un pianoforte, preludio quasi di quanto avverrà a breve; si ode infatti l’arrivo di un aereo… quello che sgancerà la fatidica bomba, il purtroppo famigerato “Enola Gay”. Sadako vede scorrere davanti a sé la storia delle guerre, che parte prima ancora di Sparta, emblema di una umanità che non ha cambiato nei millenni la sete di distruzione, se non nelle tecnologie sempre più devastanti. Poi, il dolore nel vedere una bimba che lentamente muore. Perfetta la rielaborazione dei classici del prog tricolore a partire dal quinto minuto… ed è oggettivamente un bel sentire, grazie soprattutto alla capacità di rappresentare con spensieratezza un evento tragico, senza però mai sminuirlo. Si registra la presenza di Massimo Maoli alla chitarra e dal decimo minuto la solennità dettata dai botta e risposta strumentali raggiunge le vette dei migliori Ayreon (tanto per volersi affacciare un po’ anche fuori i confini nazionali). La suite è sicuramente tutta da ascoltare con attenzione, carica com’è di particolari che allo stesso tempo non ne vanno ad inficiare la fruibilità. Le parole finali sembrano un po’ troppo ampollose e nemmeno così originali, anche se ci si pone una domanda che – oggettivamente – non può non risultare basilare: quando è morto l’altruismo? Sì, perché questo sembra davvero essere il nocciolo di qualsiasi discussione sociale. Il pianoforte, fa calare il sipario su ciò che aveva delicatamente dischiuso.
Si conclude così questa lunga disamina, che si spera non abbia stancato il lettore. Era doveroso riportare la storia fin dalle sue origini per comprendere un lavoro che dagli amanti del prog sinfonico verrà salutato come probabilmente il migliore di tutto il 2020. Oggettivamente – nonostante alcune pecche avvertite da chi magari così appassionato non è –, si parla di una buonissima uscita il cui livello aumenta sempre di più col passare degli ascolti. La band, come è giusto che sia, dedica questa quarta fatica ai propri figli.



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Michele Merenda

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