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CIRCE LINK / CHRISTIAN NESMITH |
Cosmologica |
autoprod. |
2021 |
USA |
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La cantante californiana Circe Link un giorno si svegliò con una canzone in testa… così recitano le sue note autobiografiche… e così cominciò la sua carriera musicale, fatta finora di una serie di album in cui la sua bella e potente voce spazia tra il pop e una sorta di cowboy jazz e in cui si inanellano influenze di vario tipo, da Bowie agli Abba… da Patti Smith a Zappa. Il suo compagno, e multistrumentista, Christian Nesmith, figlio di Michael Nesmith dei Monkees, è invece impegnato principalmente nella composizione di colonne sonore e jingle pubblicitari nonché nell’attività di direttore musicale di varie opere teatrali. A quanto pare i due un bel giorno hanno deciso, non si sa bene a seguito di quale impulso, di comporre un album che omaggiasse il Progressive Rock classico e così, sul finire del 2021, esce questo “Cosmologica” in cui i due, coadiuvati dal solo Michael Sherwood che offre un suo assolo d’organo su di una traccia, riescono a confezionare un prodotto musicale che non risente minimamente del noviziato nell’affrontare questo genere musicale, benché ovviamente non si possa parlare di opera totalmente originale ed esente da influenze e derivazioni dai grandi nomi storici, e neanche di certe artificiosità da one-man-band, risultando al contrario fresco, ben suonato (e ben cantato, ovviamente) e coinvolgente. Lo stesso Nesmith afferma, peraltro: “Non provo assolutamente vergogna nel rendere omaggio in queste composizioni agli artisti che le hanno ispirate. Potrete ascoltare accenni di Yes, Genesis, King Crimson, Gentle Giant, ELP, Rush e altro ancora”. Onestamente, di questi nomi, io ne evidenzierei principalmente uno, alla resa dei fatti: Yes. “Cosmologica” si articola dunque su 7 tracce, tra cui solo una al di sopra dei 10 minuti, introdotte dalla fluorescente “SubOrbitalPreFlight”, sorta di intro strumentale dai colori brillanti, a metà strada tra Emerson e gli Yes. Lo sfumare della traccia lascia il posto a “Architecture” in cui facciamo conoscenza con la potente ma chiara voce di Circe; non faccio fatica ad immaginare come la sua adattabilità a parti vocali alla Jon Anderson abbia influito, tanto o poco che sia, con la scelta di dare un taglio prettamente simil-Yes alla musica di quest’album. Su questa traccia il taglio si limita a certi suoni di basso e chitarra, in un contesto generale vagamente flower power. Anche questa traccia sfuma nella successiva, senza soluzione di continuità, e ci ritroviamo alle prese con la lunga “Syzygy”. Il lungo intro della canzone, in cui la voce si muove in modo etereo solo su delle tastiere soffuse, le dà un tono misterioso e celestiale. Dopo oltre tre minuti di introduzione, la canzone esplode nella sua parte centrale dove atmosfere genesisiane si intrecciano a ritmiche complesse ed armonie ricorrenti, assoli emersoniani, pulsioni bassistiche alla Squire e drumming Peartiano. Nella terza parte la dolce voce di Circe torna per ammaliarci e per farci anche notare le decise somiglianze con le due vocalist degli Abba. L’avvio di “Assignment in Eternity” inesorabilmente ci fa venire in mente i Gentle Giant ma poi ben presto gli Yes tornano a farsi sentire, supportando un brano che si sviluppa in quel saliscendi emotivo e ritmico che oramai abbiamo imparato a conoscere e che troviamo anche nella successiva title track. In “Satellite” sembra volersi definitivamente unire al modello di Jon Anderson, in una traccia che, se non fosse per qualche cauta nota di banjo, potrebbe davvero sembrare una sorta di outtake. Sullo stesso piano anche l’avvio della magniloquente traccia conclusiva “God from the Machine”, brano caratterizzato, come si diceva in avvio, dall’unico intervento esterno ovvero l’assolo di organo di Sherwood. L’album è quasi entusiasmante, a patto che, ovviamente, non ricerchiate originalità a tutti i costi. Il nostro duo riesce tuttavia a proporci un sentito omaggio ad un Prog che tutti (spero) amiamo, senza infognarsi in eccessivi manierismi e conservando anzi un certo stile personale che impreziosisce un’operazione musicale di non facile realizzazione. Ottima la prestazione strumentale di Nesmith, decisamente di alto livello e forse ancor più caratterizzante rispetto alla comunque validissima voce della consorte.
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Alberto Nucci
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