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LEAGUS |
Flora Eallin |
Is it Jazz? |
2023 |
NOR |
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Si potrebbe iniziare e contestualmente terminare la recensione, dicendo che il terzo album del duo (più ospiti) di Sápmi è altamente avanguardistico; pertanto, risulta materia di cervellotico interesse per certuni ed estremamente palloso per tutti gli altri. Soprattutto se ascoltato quando fuori ci sono quasi quaranta gradi all’ombra. Ecco, questo tipo di indicazione, che pare possa essere data da chiunque, senza alcun dubbio indirizza in maniera concisa gli ascoltatori e non li tedia in una lettura che (forse) solo alla fine indicherà una soluzione sui relativi contenuti. Ma pare che non sia professionale… Beh, allora – per chi desidera scendere nei dettagli – si va avanti. E lo si può fare traducendo la domanda implicita nel nome della label: questo è jazz? E se davvero lo è – si potrebbe aggiungere –, esattamente che stile è? La pianista Herborg Rundberg forma insieme al chitarrista Kristian Svalestad Olstad questo progetto fortemente radicato nell’area del Tromsø Conservatory (Leagus era inizialmente un programma della sola Herborg, per il master di specializzazione in musica ritmica). Nel 2012, la North Norwegian Jazz Emsemble commissiona loro una piece per orchestra da dieci elementi, dando così il via a quest’ultima fatica. Musica d’atmosfera, a volte rumoristica come certa avanguardia richiede, con effetti elettronici che fanno da collante tra gli sfumati contorni jazz e astratta musica da camera. “Hyperion”, posta in chiusura come gran finale, è sicuramente la traccia migliore, cinque minuti in cui la succitata atmosfera diviene convincente ed esotica. Purtroppo, non avendo a disposizione nella versione promo il nome dei musicisti coinvolti (a parte il duo protagonista), ci si può affidare a quanto trovato online, che per la maggior parte dei casi indica alcuni nomi generici senza scendere nel particolare dei singoli brani. Ma qui – con molta probabilità – dovrebbe esserci il sassofono di Ola Asdahl Rokkones, ai limiti del free, che con fare sghembo, aspro ed abrasivo si inserisce molto bene nel bel mezzo della composizione. È la concretezza che giunge come detto proprio alla fine del lavoro, composto da ben dodici tracce, iniziate con la minimale “Kime”, dal piano che disegna paesaggi brumosi tra effetti ondivaghi. Per poi immettersi in “Flor”, sicuramente più movimentata e nervosa, sottolineata dalle percussioni e dagli strumenti a fiato solenni che potrebbero ricordare i tanti progetti del danese Robin Taylor. Episodi come “Vann” risultano assolutamente di natura sperimentale, in questo caso specifico costruita tra rumori effettati, vocalizzi di vario tipo (persino dei soffocati ansimi) e qualche sporadica nota di chitarra. “Tendril” è accompagnata dalle voci di Frode Larsen e Elina Waage Mikalsen (così almeno si può evincere dal web), per poi terminare con un bel sax malinconico e notturno, mentre le ritmiche vanno apparentemente per i fatti propri come una nave nella nebbia. “Nihkui” è la sua naturale continuazione, contrassegnata ancora una volta dalla voce sognante e poi dal sax che si rivela molto più aggressivo. Di sicuro, situazioni più movimentate vanno ricercate in “Prypat”, mentre “Geo” mira a snervare l’ascoltatore. Magari qualcuno penserà che il lavoro in oggetto possa essere messo in sottofondo per rilassarsi… Qualche altro dirà che questo sound disturberà un orecchio inesperto, mentre verrà apprezzato da chi ne capisce davvero di Musica. Insomma, si può dire di tutto e di più sul prodotto preso in esame, persino che chi davvero si sofferma ad ascoltare, dopo un po' – nonostante in prima battuta possa apprezzare il coraggio compositivo – finisca per sentirsi davvero estenuato e col sistema nervoso bisognoso di non sentire più niente per un bel pezzo. Il lettore, adesso, sa davvero tutto quel che c’è da sapere, controindicazioni comprese.
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Michele Merenda
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