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MAR DE ROBLES |
MdR |
Mylodon Records |
2003 |
CHI |
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Dopo un paio di demo, la band avvistata per la prima volta nel 2000, si getta nel mercato discografico forte di un debutto con i controfiocchi. Le mille sfaccettature di quest’opera ne rendono interessante l’esplorazione e l’innato gusto per la melodia, tipico delle band sudamericane ne rende gradevole il metabolismo e ne arricchisce il sapore. L’album narra la storia di Tantic, una sorta di novello Rael che cerca di trascendere dall’ambiente urbano che lo circonda (l’album inizia appunto con rumori di traffico) fino ad arrivare alla scoperta della forza delle nostre tradizioni e della grandiosità della nostra Natura (che deve essere molto divertente viste le grasse risate in chiusura di CD!). Ardua l’impresa di descrivere quest’interessante esperienza di ascolto: gli elementi in gioco sono infatti molteplici ed intrecciati in maniera piuttosto complessa. Le sensazioni di base ci rimandano sicuramente alle terre sudamericane, soprattutto riguardo l’impressione globale ed il feeling; in particolare l’uso del flauto, anche se questo viene suonato sostanzialmente in maniera jazzistica (non pensate affatto ad un disco degli Inti Illimani!), ci porta col pensiero sulle Ande. Pure alcune scelte percussive, con congas djembé e percussioni minori, hanno un sapore decisamente etnico. Reminiscenze legate al prog dei Seventies si sprecano, seppure i mostri sacri del passato, soprattutto i King Crimson, non sono oggetto di vile imitazione ma hanno piuttosto la funzione di suprema musa ispiratrice. L’azione propulsiva sincopata del basso dà movimento e vitalità alle composizioni che vengono scosse anche dall’incursione del sax ma non delle tastiere, incredibile dictu, assenti. La mancanza di queste ultime non è assolutamente da rimpiangere in quanto flauto, sax ed una brillantissima chitarra fusion elaborano soluzioni musicali a dir poco caleidoscopiche. Ne risulta un coloratissimo ed articolato album di progressive-rock-fusion etnico, interpretato con maestria e vigore, dai suoni spesso scabrosi e dall’impatto sonoro impetuoso. Il cantato, in spagnolo, è passionale e graffiante anche se l’opera è quasi interamente strumentale. Infine qualche sferzata dall’impatto più roccioso (per non dire metal prog) interviene in dosi non tossiche a rendere più aspro il percorso. In conclusione vale la pena investire un po’ di tempo e di denaro per questo ottimo debutto dei Mar de Robles.
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Jessica Attene
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