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METROGNOM Twangyluck New Personal Records 2006 NOR

Questo quintetto norvegese, alla prima uscita, ci fa capire che l’idea prog del paese scandinavo si sta facendo forte e così, assieme a nomi blasonati e talvolta troppo blasonati, si potrà presto affiancare anche questo MetroGnom. Ognuno ha i propri rituali, quando ha un disco nuovo per le mani, spesso questi rituali derivano dai gesti imparati con i vecchi vinili: la copertina, i nomi dei componenti, la durata dei brani, ecc. Con questo lavoro devo dire che la copertina ha uno splendido impatto, determinato da un’ala di farfalla persa in uno spazio siderale contornato da stelle luccicanti. E, in questo, c’è il riassunto di tutto il lavoro, fatto di soli 4 brani ma dalle lunghezze da suites dove è imperativo il termine “Vintage”, sia per la strumentazione, sia per la costruzione dei brani.
Le prime impressioni, date dall’ascolto di questo disco, sono assolutamente determinanti. Si apre con voce robotica che ricorda, singolarmente, alcuni esperimenti di Elio e le Storie Tese, ci porta ad un riff molto noto quello di “Watcher Of The Sky” dei Genesis. Questo riff in 6/8, viene dilatato, mollato e ripreso più volte per i 14 minuti del brano “Max Planet (incl. The sudden turbulent landing procedure)”, ma l’aspetto fondamentale è la chiave di lettura Space Rock-Jam-Fusion piuttosto che sinfonico/classica, altro elemento di distacco è il sassofono, che domina una buona parte del brano congelando le atmosfere attorno a sdoppiamenti armonici di stampo Van Der Graaf. Il finale ci da tre rapide sequenze del riff genesisiano, che ci portano ad intendere che nelle intenzioni c’è qualcosa in più della semplice citazione.
Nel secondo brano "Ten Peppermint Butterflies In A Ray Of Moonlight", altri 14 minuti di invenzioni a cavallo tra Pink Floyd, Colosseum, Camel, Yes per un’esplosione di potenza sonora con giganteschi tappeti di mellotron e un sax che corre libero fino a momenti che rasentano il free jazz, con un batterista funambolo, in sapore Michael Walden, pronto a lasciare le bacchette solo per un finale arioso di tastiere e chitarra arpeggiata, bravi, bravi.
Terzo brano e terzo esercizio di prog da pelle d’oca: "Opening Ceremony For The Trolls Seventeenth Olympic Games", tappeti di Hammond e tempi dispari a profusione, echi crimsoniani, Colosseum, Mike Westbrook, non manca neppure un momento di RIO sconvolgente, seguito da un riff di sassofono perdurante, assillante, che porta ad una destrutturazione ritmica, preludio trionfale di un finale sfumato e liberatorio in maniera Deep Purple. Chiude la suite "Tellus Will tell Us Its Will", 21 minuti di equilibrio sonoro tra chitarra, sax e tastiere, con sezioni ritmiche complesse e dinamiche. Gli ultimi minuti si spingono oltre, con tematiche più Folk, con schemi che vanno dall’improbabile spirito danzerino a quello Space-Rio improvvisato.
Una bellissima sorpresa questo esordio, che ha come unica pecca l’allungare un po’ il brodo e mancare quindi di sintesi compositiva, tendendo alla ripetizione di alcuni schemi sonori troppo a lungo. Per dirla molto brevemente e far capire in tre parole di che si parla occorre provare ad immaginare un mix con Pink Floyd-Genesis-Colosseum. Detto questo un disco assolutamente consigliato, per uno dei migliori esordi degli ultimi tempi.

 

Roberto Vanali

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