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MILLER COXHILL |
The Story So Far… / …Oh Really? |
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1973/1974 (Cuneiform 2007) |
UK |
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A cavallo tra il 1972 e il 1974 l’area di Canterbury era percorsa dai grandi venti dell’innovazione. Menti geniali si fondevano per dare vita a veri e propri capolavori della musica progressiva. Una buona fetta di quello che queste menti ha partorito è stato pubblicato, altre cose dimenticate da qualche parte e altre ancora neppure pubblicate. Per fortuna i master, nei cassetti o in qualche baule sono rimasti custoditi finché la fortunata e ferma scelta della Cuneiform di spolverarli li ha ridarli al pubblico prog.
Per l’occasione si tratta di due lavori del sassofonista Lol Coxhill e del pianista Steve Miller (fratello del più noto chitarrista Phil). Il primo, due volumi usciti nel 1973, con titolo “Miller/Coxhill-Coxhill/Miller” trova spazio sul primo CD, con l’aggiunta di 5 brani in versione inedita. Nel secondo CD, invece, troviamo “The Story So Far / Oh Really?” i due volumi del 1974 e anche qui l’aggiunta di 3 brani in versione inedita completa un progetto pensato appositamente per i fan canterburyani più sfegatati. Chi non fosse riuscito ad accaparrarsi i vinili dell’epoca ha a disposizione un buon escursus di questa fetta del Kent più avanguardistica, jazzata e, in senso stretto, più progressiva.
Coxhill e Miller si conoscevano da tempo e il loro incontro, all’epoca dei Delivery, lasciò la voglia di lavorare assieme percorrendo strade che potessero allontanarsi dal suono più morbido, rotondo e, per certi versi, più accessibile dei recenti lavori, ad esempio, di Kevin Ayers o dei Caravan ove proprio lo stesso Miller fu chiamato in sostituzione di David Sinclair per l’incisione di Waterloo Lily. Le prospettive erano, per inventiva, capacità e intenzioni, molto aperte, certi territori avanguardistici, piuttosto spinti, erano completamente da esplorare e il vestito della Rock Band stava stretto ad entrambi.
Quel che venne fuori e che qui possiamo ascoltare nell’esatto crescendo temporale, è una esplorazione a tratti certosina delle sensazioni più profonde date dai minimalismi canterburyani, senza clamore, senza spinte eccessive e soprattutto senza fronzoli e barocchismi. L’ascolto non è semplificato da queste direttive e, semmai, si contorce in sequenze di assonanze e dissonanze talmente originali da non poter definire precedenti simili. La commistione delle note espresse dal piano di Miller e dal sax di Coxhill si legano per un fare che sa veramente di nuovo e che ancora oggi suona attuale e affascinante, per un incontro non apologetico, ma simpatetico.
Veniamo ai dischi e al loro ascolto. La qualità dei master c’era già allora e il lavoro di pulitura e digitalizzazione non deve aver comportato sforzi immani, così il prodotto che ne è uscito è chiarissimo, anche sotto l’aspetto della qualità di ascolto. Il primo CD “Miller/Coxhill-Coxhill/Miller” presenta gli otto brani del lavoro originale, la cui composizione è equamente distribuita con tre brani di Miller, tre brani di Coxhill e gli altri due a quattro mani. Sottolineo questo, perché c’è una sensibile differenza nell’impatto tra le tipologie compositiva, grazie a quell’altalenare di impronte, talvolta, melodiche prodotte dal pianoforte e di bizzarrie avanguardistiche del sassofono.
Tra questi brani è senz’altro da segnalare “Chocolate Field” fatta dall’assemblaggio di frammenti dei Caravan di “Waterloo Lily” ritorti tra le spire del Sax e delle percussioni dei soli tasti del piano, i due splendidi brani, One For You” e “Will My Thirst … ” con Sinclair al basso, Pip Pyle alla batteria e Phil Miller alla chitarra, dove si respira jazz-rock canterburiano alla Nucleus e alla Soft Machine di Third, ma senza citazione alcuna: quanto che si respira in queste tracce lo troviamo qui e solo qui. Sul versante improvvisato e sfacciatamente free nelle loro trasformazioni persino autoironiche i brani “solo” di Coxhill come “Maggots”, “Wimbledon Bath” e “Bath ‘72” che con le sue risate grasse e animalesche di chiusura, sposta l’accento verso uno spazio sonoro dadaista e dislallico.
Di impasto più arioso i brani di aggiunta, registrati dal vivo nel 1972 con la band allargata con Phil Miller - Richard Sinclair - Pip Pyle - Archie - Roy Babbington e Laurie Allan, splendidi a dire poco. “Betty (You Pays Your Money, You Takes Your Chances)”, composto da Miller e Sinclair, è lì a metà strada tra la terra e il paradiso, è uno di quei brani che ti fanno capire perchè adori il genere di Canterbury. Seguono, registrate ad un concerto come Delivery, una “God Song” da pelle d’oca, tirata per sette minuti, con un Sinclair da favola, Bossa Nochance e Big Jobs, che da queste sessions sono finite poi nei lavori degli Hatfield and the North, e infine e Big Jobs No. 2 e un’altra versione di “God Song” per solo piano. Signori, sono commosso.
Diverso, più corale, scritto per un ascolto più diretto, jazzato e spesso blues allo stesso tempo, il secondo CD presenta connotazioni meno improvvisate, meno da canovaccio. Questa parte inizia, anormalmente con due bonus live di Miller al piano, segue l’intero volume di “The Story So Far” interanente suonato da Miller con l’aggiunta di poche tracce percussive di Laurie Allan. Poi l’intero volume di “…Oh Really?” dove Coxhill si sbizzarisce in lavori di incredibile profondità tra il jazz alla Nucleus e i classici americani, il tocco alla “Waterloo Lily” di Miller è notevolissimo. Obbligo di segnalazione per il brano “Soprano Derivativo/Apricot Jam” dove nella seconda parte troviamo un Kevin Ayers veramente in forma e uno Wyatt che salta da percussioni a vocalizzi vari per un cha-cha-cha/Twist/Bossa-Nova pazzesco: brano da incorniciare! Chiude l’ultima bonus track, una suite improvvisata di 23 minuti con, assieme al duo, Sinclair al basso e Allan alla batteria: un altro pezzo di storia registrato monofonico al London College nel 1974.
Che dire per chiudere questa lunga considerazione? Poco. Compratevelo, immancabile anche per chi possiede i vinili.
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Roberto Vanali
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