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DAVID MINASIAN Random acts of beauty ProgRock Records 2010 USA

David Minasian è forse più noto per aver diretto alcuni DVD dei Camel che non per le sue produzioni musicali, eppure la sua esperienza di musicista inizia nel 1984 con la pubblicazione del suo primo disco solista intitolato “Tales of heroes and lovers”. Questo “Random acts of beauty” è in realtà la seconda prova discografica rilasciata a nome Minasian, anche se l’artista ha portato a termine negli anni diverse collaborazioni, non solo come musicista. Quello che appare subito chiaro è l’amore e la dipendenza dal modello dei Camel, tanto più che lo stesso Andrew Latimer, che appare come ospite alla chitarra e alla voce nel pezzo di apertura, avrebbe incoraggiato Minasian a realizzare questo album. David rimane il principale attore di questo progetto, assieme al figlio primogenito Justin alla chitarra, e suona una vasta gamma di strumenti che comprendono vari tipi di tastiere, con Mellotron, piano, organo a canne, Moog e clavicembalo, ma anche il violoncello, il flauto, il violino, l’oboe, il corno francese, il clarinetto, il sitar, il basso e la batteria. Sua è anche la voce solista mentre l’intervento di altri musicisti, Guy Pettet e Don Ray Reyes Jr alla batteria e Nick Soto alla chitarra, è marginale e limitato solo ad alcuni brani. La cosa che David sa fare meglio è senza dubbio l’elaborazione delle orchestrazioni che appaiono morbide ed ampie e basate soprattutto sulle tastiere che vengono usate come uno sfondo avvolgente e luminoso sul quale vengono proiettate come ombre le linee melodiche. Sarà forse per la partecipazione di Latimer in persona ma “Masquerade”, una lunga traccia di 12 minuti, sfoggia affinità impressionanti col repertorio dei Camel più romantici, anche se il pezzo mostra qualche assonanza con qualcosa che ci riporta alla New Wave. Il sound delle tastiere è molto elegante, con un piano limpido e l’inserimento in pochi punti topici dell’arpicordo ed un Mellotron sullo sfondo che è quasi una presenza costante. Tutti questi elementi orchestrali appaiono sapientemente elaborati con gusto e semplicità e sono sicuramente l’aspetto più pregevole dell’album. Su questa coltre soffice si staglia limpida la chitarra di Latimer che scivola romanticamente lungo un pezzo dilatato e di grande atmosfera. L’intero album è fatto di textures e di momenti musicali rilassanti in cui gioca un ruolo determinante la scelta di una certa timbrica o di uno strumento particolare, in maniera tale che venga esaltata tutta la potenza della melodia grazie a sensazioni di ascolto piacevoli e raffinate, accuratamente selezionate. Quello che manca sicuramente è l’interazione strumentale per un album che appare piuttosto statico e dà l’idea di una collezione di arazzi sonori più che di qualcosa in continuo movimento. Ma questo lo possiamo anche capire, dal momento che questo è quasi il disco di una one-man-band in cui le idee di Minasian sono assolutamente preponderanti su tutto il resto. Un altro appunto lo rivolgo alla voce stessa di Minasian, molto spenta e dimessa ed incapace di escursioni, non dico grosse, anche minime. La sua timbrica è comunque abbastanza piacevole e adatta alla musica così da farci chiudere un occhio sulla sua performance decisamente poco tecnica ed audace. Potrebbe fare davvero la differenza l’apporto di una band ben strutturata che possa dare maggiore brillantezza alle comunque ottime idee di Minasian ma forse questo non corrisponde ai desideri dell’artista che, nel bene e nel male, ha messo in gioco sé stesso contando interamente sulle proprie forze e realizzando in definitiva un disco piacevole che potrà essere apprezzato dai fan di Camel, Porcupine Tree e dei Pink Floyd di “Dark Side”.


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Jessica Attene

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