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MACK MALONEY Sky club Voiceprint 2010 USA

Vi presentiamo Mack Maloney, scrittore americano, di un certo successo, di libri di fantascienza e di avventura e che ha da sempre una grande passione verso la musica, talmente grande che lo ha spinto anche a cimentarsi nella realizzazione di un album. Impegnato alle tastiere e coadiuvato da Rich Kennedy alla chitarra, da Mark Poulin alla chitarra, al basso, alla batteria e alla voce, da Amadee Castenell al sax e da Chris Billias al piano, Mack ha puntato su un concept-album molto particolare. Innanzitutto c’è da dire che ci sono solo due canzoni originali, mentre le altre dieci sono cover, ma il tutto è assemblato in maniera tale da creare un racconto con tematiche non distanti da quelle che Maloney propone da scrittore. Si narra, infatti, l’avventura di un viaggiatore dello spazio, che si ritrova da solo su un pianeta disabitato e a tenergli compagnia c’è solo il suo iPod, con i suoi brani preferiti. Analizzando la parte musicale del cd, notiamo come siamo di fronte ad un rock abbastanza orecchiabile, pieno di intriganti melodie e ballads di classe, frutto di un accurato lavoro di arrangiamento, ma che presenta anche tante piccole sfaccettature molto intriganti, che inducono ad un ascolto attento per carpire ogni finezza e che regalano non poche sorprese. Per gli appassionati di progressive, oltre alla scelta di puntare su un concept, sono da denotare anche una certa vena new-prog che compare con una certa costanza, con improvvisi slanci maestosi e con delle pomposità non esasperate; si può inoltre intravedere un qualcosa degli Yes più diretti in “Flood”, atmosfere che fanno venire in mente l’Alan Parsons Project e tracce floydiane sparse qua e là. In ogni caso, indipendentemente dalla vicinanza o meno al progressive, sono disseminati per tutto l’album spunti validi e curiosi su cui intrattenersi, vedi, ad esempio, “Star surfing 1962”, uno dei brani inediti, che fa inevitabilmente pensare al surf rock dei Beach Boys, fatto benissimo, o la delicata ballata “Into the night”. Le canzoni più note, invece, sono quella di apertura, che è un rifacimento di “Don’t let go the coat” degli Who, con un arrangiamento orientato al prog, ma che non fa perdere l’energia tipica dello storico gruppo inglese, e “Deserted cities of the heart” dei Cream, anche questa rimessa a nuovo con una proposta elegante e condita da splendidi inserimenti di sax. L’album è davvero godibile, scorre via che è un piacere e mostra un’unione di forze molto professionali, che sa trovare un modo davvero interessante e intelligente di proporre cover.


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Peppe Di Spirito

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