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MARS HOLLOW |
World in front of me |
10T Records |
2011 |
USA |
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E’ bastato un anno ai Mars Hollow per sfornare il seguito dell’album d’esordio, confermare quanto di buono fatto in precedenza e gettare le basi per diventare una solida realtà del rock progressivo americano, con l’asso vincente di questa seconda partita affidata a Billy Sherwood, produttore di svariate band e famoso per aver fatto parte (e per aver prodotto) gli Yes in una delle loro incarnazioni d’epoca recente. L’impatto all’ascolto di “World in front of me” conferma l’essenza della band come definita e affiatata, e non era possibile avere dubbi su ciò date le precedenti esperienze dei singoli componenti. Di conseguenza, le differenze con il primo album sono minori di quelle che ci si potrebbe aspettare. Billy Sherwood non sembra aver imposto variazioni stilistiche ai quattro, sia dal punto di vista dei suoni che da quello della composizione, lasciando libera la musica di fluire spontaneamente dagli strumenti. Il risultato appare più compatto rispetto all’album d’esordio, pur non superandolo nella qualità dei brani, e andando a costituire con esso una sorta di parto musicale gemellare ritardato. Le differenze per gli ascoltatori più accorti consistono nella spontaneità che lascia il posto alla maggiore coesione e nella maggiore omogeneità. Ritroviamo così lo stile “stelle e strisce” e la tendenza a colorare di pop raffinato le composizioni, in una sintesi progressiva a tutto tondo che pesca ancora una volta dal terreno fertilizzato da band come Kansas (omaggiati con il coro dell’iniziale “Way down below”, che ricorda quello di “Carry on my wayward song”) e Rush, arricchito da rimandi a Yes ed EL&P, in una sintesi tra vintage e moderno che viene ribadita come marchio di fabbrica. Esempio perfetto di questo è la già citata traccia iniziale, manuale riassuntivo di temi progressivi incastrati tra loro, tra arpeggi, riff e assoli ricamati su una sezione ritmica molto in evidenza nel missaggio, con il basso di Kerry Kompost sempre protagonista nel ritagliarsi uno spazio che va al di là del semplice accompagnamento. Struttura simile ha anche “Voices”, costruita tra accelerazioni nervose, arpeggi, break, assoli e un refrain epico. Sono ancora gli arpeggi della chitarra a introdurre “Weapons”, che sembra pagare maggiormente il tributo ai Rush più progressivi. Più lenta e meditata “What have I done”, punteggiata ancora da arpeggi (che devono piacere molto al chitarrista John Baker) e da atmosfere da pop rock progressivo. Molto brevi e melodiche le successive “Mind over matter” e la strumentale “Prelude”, la prima con protagonista ancora la chitarra e la voce di John Baker, la seconda basata principalmente sulle tastiere di Steve Mauk e di introduzione alla conclusiva “World in front of me”, perfetto esempio di coesione strumentale e melodia che riprende ancora una volta l’ispirazione dai Rush mescolandola con richiami agli Yes e immergendola in un’atmosfera epica trascinante.
Un album che rappresenta una conferma, dunque, e una dimostrazione di notevoli capacità e talento da parte dei Mars Hollow, i quali meriterebbero di avere maggiori consensi anche al di fuori del continente americano dove, grazie ad un’attività live costante e apprezzata, sono entrati nel cuore di parecchi fan. Oramai anche in Europa visitare Marte è possibile, e questo album, insieme al suo predecessore, è la nave spaziale che vi trasporterà nel viaggio.
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Nicola Sulas
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