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MENÚ DEL DÍA |
Almas del osorno |
Mylodon Records |
2008 |
CHI |
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Questo è il progetto del chitarrista Vladimir Groppas, docente presso la scuola moderna di musica e danza di Santiago Del Cile, qui accompagnato da vari altri musicisti che si alternano, di pezzo in pezzo, al basso e alla batteria, ma soprattutto dalla bella voce di Consuelo Schuster. Vladimir è il compositore principale delle tracce di questo album che è stato ideato ed arrangiato secondo i suoi gusti. Ne deriva che il lavoro di chitarra, suonata con un tocco agile e leggero, è quello che risalta maggiormente. Si tratta di una chitarra principalmente arpeggiata o comunque dalle cadenze fusion che, nella sua variante acustica però, è decisamente più calda e romantica e riesce persino ad evocare la malinconia del fado. La musica è un soft jazz-fusion dolcemente contaminato dalla musica popolare cilena e con cadenze sinfoniche che emergono soprattutto dalla costruzione delle melodie. Gli accenti etnici provengono soprattutto dalle bellissime armonizzazioni di Consuelo che usa la sua voce principalmente come strumento musicale, attraverso morbidi vocalizzi, anche se la preferisco di gran lunga quando canta dei testi veri e propri, ai quali riesce ad imprimere grande sentimento grazie alla sua duttilità e alla sua dolce espressività. E’ il caso questo di “Antinà”, splendidamente accompagnata dalla chitarra di Vladimir che sembra quasi un’arpa. Tutti i musicisti sono dotati di grande tecnica che non esitano a mettere in mostra, in maniera comunque discreta, creando un tappeto di suoni dalla ritmica complessa che non è mai un semplice accompagnamento ma che presenta intrecci sempre abbastanza articolati. La base musicale che ne deriva è sempre vivace ma forse troppo esile, sotto tono e dai suoni poco corposi. Qualche assonanza la potemmo trovare con i connazionali Mediabanda anche se questi ultimi risultano molto più dirompenti e dotati di un tocco più deciso di avanguardia. Le canzoni sono tutte belle ma forse il loro difetto principale è che appaiono un po’ spente e mancano soprattutto di forza, con poche eccezioni, come la conclusiva “Arauco tiene una pena”, appena più rockeggiante ma comunque dal sound sempre abbastanza scheletrico. Forse l’innesto di altri musicisti potrebbe fare la differenza, magari anche attraverso l’apporto di idee che riescano a donare una spinta più vivace a questa musica che presenta le sue particolarità, soprattutto per quel che riguarda la contaminazione stilistica con il repertorio popolare locale, ma che non decolla secondo me come dovrebbe e potrebbe.
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Jessica Attene
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