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MOEBIUS CAT |
End of time |
Mals |
2012 |
CAN |
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Uscito inizialmente in solo formato elettronico per il download nel 2010, questo album, il secondo del gruppo di Toronto (il debutto “Arrivals-Departures” risale al 2003), nasce finalmente come CD fisico soltanto due anni più tardi. Il gruppo ruota attorno a Roman Bershadsky, cantante solista, tastierista, batterista e bassista, reduce da una passata esperienza nella band prog folk Zlye Kukly, ma vi sono anche altri dieci musicisti in azione, fra cui merita una speciale menzione la cantante Jody Krangle, splendida protagonista in molte canzoni. Troviamo poi altri due cantanti, che intervengono in modo più modesto, e cioè Karl Mohr e Adriano Spina, Terry Skirko alla batteria e alle tabla, Derek Wylie alla chitarra, Andrei Stebakov alla chitarra acustica, Jeremy Wheaton e Michael Gutman al basso, Ashot Ovanessian al violino e infine Roman M. al violino, flauto e chitarra. Adesso che abbiamo diligentemente citato tutti, per non far torto a nessuno, diciamo della musica che parte davvero bene. “I’ve been losing” è tutta nelle mani di Jody che con la sua voce suadente trasforma il pezzo in qualcosa di davvero accattivante. Il suo timbro potrebbe somigliare a quello di Heather Findlay e anche la fragile musica che la accompagna ricorda in un certo senso qualcosa dei primi Mostly Autumn. Una base molto soft, romantica e notturna, poche linee di djembe, la chitarra acustica arpeggiata, tastiere lontane e inserti filiformi ed eleganti di violino. L’atmosfera è perfetta e come inizio, dicevamo, ci siamo: basterebbe soltanto amplificare tutte le emozioni suscitate dal pezzo ed il gioco sarebbe fatto. In effetti anche la successiva title track, in cui suoni di fisarmonica (sono però le tastiere a produrli?) donano al pezzo, molto semplice, un alone soft folk intrigante, scorre in maniera più che piacevole. E’ però con l’abbandono del ruolo solista di Jody che si vengono a scoprire i punti deboli dell’album. Una bella voce riesce davvero a catalizzare l’attenzione, facendo sembrare tutti i particolari attorno degli abbellimenti che mettono in risalto la sue doti, ma se questa viene a mancare, e purtroppo i colleghi uomini non sembrano all’altezza della situazione, ecco che una matrice musicale così scarna inizia a sfilacciarsi sotto le nostre orecchie. “Better Days than These”, che curiosamente ha una base tastieristica che ricorda un po’ gli Ange, procede in maniera un po’ stentata, senza decollare. Un pezzo come “Gold Rain”, un po’ dark gotico, con chitarre distorte a tenere il ritmo e gentili abbellimenti di piano e violino, sembra una specie di scatola vuota dall’involucro invitante ma priva di contenuto. Per fortuna Jody torna alla carica, ad esempio in “It’s Over”, canzone magari molto più semplice rispetto ad altre, ma sicuramente più interessante per i motivi che abbiamo detto. Globalmente potremmo inserire questa band nel filone dei Mostly Autumn o dei Karnataka ma gli ingredienti sono purtroppo molto diluiti e sviliti a volte dal cantato non all’altezza dei tre lead singer di sesso maschile. L’album non manca di belle atmosfere, di sonorità eleganti, di canzoni sognanti ma nel complesso appare comunque molto fiacco. Se potessi dare un mio personale consiglio a questa band, comunque valida, direi di ridisegnare le gerarchie al loro interno, esaltando il ruolo della Krangle, arricchendo gli arrangiamenti e rendendo più interessanti le trame ritmiche, magari con un uso più estensivo delle percussioni tradizionali, visto che i musicisti non mancano: sono così tanti, facciamoli quindi lavorare!
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Jessica Attene
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