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MUSEO ROSENBACH Zarathustra (Live in studio) Immaginifica 2013 ITA

Quando ormai manca poco alla pubblicazione di un nuovo album che dovrebbe recuperare i suoni progressivi, il Museo Rosenbach riapre per regalarci una stuzzicante anteprima consistente in una nuova registrazione del disco che quarant’anni fa consegnò alla storia una fondamentale testimonianza del rock italiano. In realtà, come gli appassionati ben sanno, la consacrazione a capolavoro di “Zarathustra” avvenne anni dopo la sua pubblicazione, complice l’ostilità di un pubblico incapace di scindere l’arte dall’ideologia, anche quando bastavano una copertina concepita assemblando immagini politicamente e storicamente “sconvenienti” e il tema basato sull’opera di un filosofo controverso come Nietzsche, il cui concetto di superuomo mal si adattava al pensiero dominante che all’epoca influenzava i gusti degli ascoltatori della musica non commerciale. Eppure, col tempo “Zarathustra” ha avuto il riconoscimento che avrebbe meritato da subito ed è stato riscoperto e conosciuto dalle nuove generazioni di amanti del progressive.
C’era bisogno nel 2013 di una nuova registrazione di quest’opera fondamentale? Difficile rispondere, anche se la tentazione è di farlo negativamente. Il Museo Rosenbach, costituito oggi da tre componenti storici (“Lupo” Galiffi, Alberto Moreno e Giancarlo Golzi - evidentemente in pausa dai Matia Bazar) e da ben quattro altri validi musicisti, non ha fatto altro che registrare una nuova versione di “Zarathustra”. Detto così può sembrare semplice, ma dobbiamo dare per scontato che il gruppo abbia passato molto tempo in sala prove prima della registrazione, dato che questa è avvenuta in presa diretta, con il classico sistema del “live in studio”. I risultati si sentono, poiché l’esecuzione è ottima e restituisce un suono compatto e potente, esattamente come nella versione originale. Il gruppo si guarda bene dallo stravolgere la musica che ha stregato tanti appassionati, limitandosi a rivedere gli arrangiamenti, e neanche in maniera determinante. L’operazione dal punto di vista tecnico ha il sapore di un aggiornamento, con alcuni suoni di synth sostituiti senza che questi (fortunatamente) appaiano più moderni. Certe volte le chitarre elettriche sono più presenti (ad esempio in “Della natura”), dando un tocco più hard alle atmosfere cupe dell’album, ma anch’esse rispettano l’intento originale dell’album. Notevole è invece la differenza con la batteria originale, ovviamente molto meno dettagliata e brillante rispetto alla nuova. Un altro aspetto evidente è dato dal suono più corposo, dovuto ovviamente al maggior numero di musicisti presenti, mentre è sorprendente notare come la voce di Galiffi sembri essere sospesa nel tempo, trasportata attraverso gli anni ancora intatta e capace di graffiare.
E’ difficile fare delle considerazioni finali su questo disco. Volendo semplificare, potrei dire semplicemente che è bellissimo, ma si tratta di “Zarathustra”, quindi è abbastanza scontato. Ho l’impressione che la nuova incarnazione del Museo Rosenbach abbia voluto divertirsi prima di pubblicare un nuovo lavoro, con l’intento anche di riportare il proprio nome sulle bocche degli addetti ai lavori e dei progster. È come se avessero voluto dire a tutti: “eccoci, siamo ancora qui, siamo quelli veri e ci sappiamo ancora fare!”. Il risultato è ottimo, ma non è detto che un ascoltatore di vecchia data, che conosce la versione originale di “Zarathustra” come le proprie tasche, sia interessato a questa nuova edizione, a meno che non sia un completista o un collezionista. Per i novellini del prog, avrei difficoltà a consigliare l’acquisto di questo album. Suggerirei di cercare innanzitutto la versione originale, poi passare all’ascolto della versione recente, ugualmente bella ma godibile diversamente grazie alla registrazione più moderna. Non ci resta, intanto, che aspettare l’uscita del nuovo album del Museo Rosenbach, che inevitabilmente sarà paragonato a “Zarathustra”, soprattutto dopo la pubblicazione di questa nuova edizione.


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Nicola Sulas

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