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MIRTHKON |
Snack(s) |
AltrOck |
2013 |
USA |
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Dopo anni di gavetta e alcune autoproduzioni, gli statunitensi Mirthkon erano saliti alla ribalta delle cronache prog grazie a “Vehicle”, vero e proprio debutto e molto apprezzato dagli appassionati del prog orientato verso l’avanguardia ed il R.I.O. moderno. A quattro anni di distanza, la band, in formazione parzialmente rinnovata e sempre sotto la guida di Wally Scharold, si ripresenta in sestetto e torna a meritarsi attenzioni con “Snack(s)”. Il nuovo album evidenzia una perfetta continuità stilistica con l’esordio: capaci di far convivere una potente furia sonora e arrangiamenti eleganti con melodie non banali, i musicisti dimostrano nuovamente cosa sono capaci di fare. Così, in un marasma di note che viaggiano veloce e liberamente, si ritrovano insieme chitarre taglienti e ruggenti e vecchie suggestioni canterburiane, con sax, clarinetto e fagotto ad indicare la strada verso il jazz e l’avanguardia. Con una vena pazzoide che non li fa sembrare troppo seriosi e che può richiamare sotto certi aspetti il grande maestro Zappa, i Mirthkon deliziano chi ama l’orientamento descritto per quasi un’ora, attraverso una serie di composizioni intricate al punto giusto. Certo, quei momenti più aggressivi, con la sei corde pronta a ricreare suoni vicini al metal, possono essere un freno per chi non è mai riuscito ad entrare in sintonia con quello che può venire visto come frastuono, ma si tratta solo di una piccola parte della proposta del gruppo, che fondamentalmente mantiene anche gli standard qualitativi toccati con “Vehicle” (per cui, se avevate apprezzato quel disco, potete andare sul sicuro con il nuovo parto). I Mirthkon, infatti, seguono un percorso non dissimile da quello intrapreso tanti anni fa dai canadesi Miriodor, pur con risultati un po’ differenti. L’importanza fondamentale dei fiati, l’influenza canterburiana, la follia erede degli Henry Cow sono gli elementi comuni tra le due band, ma gli americani amano irrobustire decisamente il sound proposto, che risulta, per questo, decisamente più chiassoso rispetto ai veterani colleghi. Altri “folli” con cui si possono intravedere similitudini possono essere poi i French TV di Mike Sary. Le dieci composizioni di “Snack(s)” non sono mai eccessivamente prolisse (le più lunghe vanno poco oltre i sette minuti); anche in tre-quattro minuti, i musicisti sono in grado di assemblare al meglio brani complessi in cui esibire muscoli, tecnica e fantasia e di inserire anche, di tanto in tanto, stralunate melodie vocali che stemperano un po’ certe asperità, senza mai avvicinarsi all’easy listening. Da segnalare che la conclusione è affidata ad una cover della celebre “Fairies wear boots” dei Black Sabbath, qui in una bizzarra versione, se possibile ancora più allucinante dell’originale nonostante le inflessioni jazzistiche e che mantiene piena omogeneità con il resto dell’album. Curioso anche l’artwork presente nel libretto di accompagnamento, attraverso il quale si può vedere che ad ogni traccia è abbinato uno snack (ovviamente immaginario), con le descrizioni delle caratteristiche nutrizionali tutte da leggere!
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Peppe Di Spirito
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